IlFestival del Giornalismo di Leali delle Notizie di Ronchi dei Legionari si conferma ancora una volta una delle manifestazioni più qualificate a carattere giornalistico-informativo e culturale capace di catalizzare l’opinione pubblica su argomenti di stringente attualità. Il corposo programma prevedeva 130 ospiti nazionali e internazionali, 43 incontri, 23 panel di discussione, 2 mostre, una masterclass, 2 letture sceniche e 14 presentazioni letterarie nell’arco di dieci giorni (anche in altre città del Friuli) e per cinque di questi a Ronchi dei Legionari dove sono intervenuti giornalisti di tutte le testate: a dimostrazione di come sia indispensabile dare voce a tutti gli orientamenti, senza distinzioni di sorta. Dedicato a Cristina Visintini scomparsa di recente, sul palco del palatenda si sono avvicendati Giancarlo Tartaglia già direttore della Federazione nazionale della stampa italiana e segretario generale della Fondazione sul Giornalismo “Paolo Murialdi”, Mariano Giustino giornalista e corrispondente di Radio Radicale, (in collegamento) Lucia Goracci inviata Rai e corrispondente della sede Rai di Instanbul, Dario Fabbri giornalista e analista, consigliere scientifico e coordinatore America di Limes, Peppe dell’Acqua psichiatra, Gennaro Sangiuliano direttore del Tg2 della Rai, Barbara Schiavulli direttrice di Radio Bullets e corrispondente di guerra, Sandro Ruotolo giornalista e senatore, Fabiana Pacella, giornalista e portavoce di Articolo21 della Puglia, Fabiana Martini giornalista e portavoce di Articolo21 Friuli Venezia Giulia, Luciana Borsatti giornalista e già corrispondente Ansa dal Cairo e da Teheran.
A siglare la settima edizione del Festival che gode dell’alto patrocinio del Parlamento Europeo e del Ministero della Cultura, oltre a quello del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, è intervenuto anche Giuseppe Giulietti presidente della Federazione nazionale della stampa per testimoniare l’affetto, la stima e la riconoscenza del lavoro svolto di Cristina Visintini, scomparsa di recente, vicepresidente di Leali delle Notizie, indimenticabile promotrice e instancabile attivista per la libertà di stampa e di pensiero. La sua assenza non poteva non essere notata e il tributo a lei assegnato durante il discorso di Giulietti ne è stata la prova.
Una commozione palpabile tra tutti i presenti e in particolare quella del padre Amerigo Visintini e del compagno di Cristina, Sergio Pisaniello. Le parole di Giulietti, semplici, dirette e mirate al lavoro prezioso, sensibile e appassionato di una collega che ha affiancato per tanti anni il presidente dell’associazione promotrice del Festival, Luca Perrino, hanno colto lo spirito che la animava , la cui sorte infausta è stata un duro colpo per tutta la città . Cristina creava con le sue mani le panchine della libertà di stampa e pensiero collocate a Ronchi dei Legionari, al ghetto di Roma, a Sant’Anna di Stazzema, simboli di un’ideale etico che verrà perseguito e il prossimo 23 ottobre si svolgerà un’iniziativa proprio a Ronchi in sua memoria dove le sarà dedicata una creata appositamente per lei.
La testimonianza del valore di questa iniziativa nasce dalla volontà di Luca Perrino e Cristina Visintini che da sette anni propone un festival del giornalismo capace di portare a Ronchi personalità della cultura e giornalisti che si distinguono per l’impegno etico nel militare nelle file di una professione rivolta a contrastare ogni forma di illegalità, discriminazione, e manifestazioni d’odio. Un giornalismo che si basa sull’accertamento della verità e delle notizie contrastando ogni forma di falsificazione e manipolazione. Per cinque giorni è stato un susseguirsi di incontri e dibattiti dove lo scambio delle idee è avvenuto tramite un confronto serrato tra i protagonisti accolti sul palco creato all’interno di una tensostruttura bianca: un’agorà vivace dove il pensiero intellettuale si è potuto manifestare in tutta la sua drammaticità per i contenuti stessi del programma. L’evento più importante che ha concluso sabato 11 settembre la settima edizione, è sicuramente la cerimonia di consegna del premio della quarta edizione del Premio Leali delle Notizie, in memoria di Daphne Caruana Galizia, assegnato a Paolo Berizzi giornalista di Repubblica, alla presenza di Corinne Vella sorella di Daphne Carauna Galizia. Berizzi segue da vent’anni come cronista l’evoluzione di attività e manifestazioni neofasciste, e a causa del suo impegno vive sotto scorta dal 2019, unico giornalista Europeo sotto scorta per le minacce e atti intimidatori ricevute. La consegna del premio (opera realizzata dall’artista Fabio Rinaldi) è stata l’occasione per affrontare il tema della mafia ai tempi della pandemia e quali sono stati gli effetti che ne sono conseguiti a favore delle organizzazioni criminali.
Sono intervenuti (oltre a Paolo Berizzi e Sandro Ruotolo) Lirio Abbate giornalista, saggista e vicedirettore de L’Espresso, (uno dei 24 giornalisti scortati), Floriana Buffon giornalista di Repubblica e L’Espresso, Dina Lauricella di Rai 3 e Salvo Palazzolo di Repubblica. Il dibattito è stato moderato da Cristiano Degano presidente dell’Ordine dei giornalisti del Friuli Venezia Giulia. Al Festival si è parlato anche di giornalismo e precariato con Luciana Borsatti, Fabiana Martini, Fabiana Pacella, Barbara Schiavulli (in partenza per Kabul) e la moderazione del portavoce di Articolo21 Trentino Alto Adige, Roberto Rinaldi. Le relatrici del dibattito hanno potuto raccontare le loro esperienze personali e professionali segnate da una carriera che le ha viste sempre in condizioni di provvisorietà e retribuzioni non corrispondenti all’impegno profuso. Cosa impedisce una riforma e un’approvazione di una legge organica che sani la crisi del giornalismo in cui il lavoro precario è una componente mai sanata? La domanda non è scontata: esiste una legge organica già stata votata dal Parlamento nel 2012 sull’equo compenso per i giornalisti. Per essere applicata deve però essere presa in carico dalla Commissione Equo compenso e convocata dal sottosegretario all’editoria (ora è Moles nel governo di Mario Draghi) . La Federazione nazionale della stampa ha presentato una sua proposta nella quale si auspica di fissare un limite oltre al quale le singole collaborazioni individuali con un singolo editore non possono essere considerate lavoro autonomo. In questo caso il giornalista diventa un dipendente a tutti gli effetti. Diversamente da collaborazioni saltuarie. Ci sono precari retribuiti con pochi euro ad articoli che a volte pubblicano anche gratuitamente
“La libertà di stampa. Dal XVI secolo a oggi” e “La passione per la verità”: due libri che verranno presentati in città diverse e distanti tra di loro ma con un obiettivo in comune: salvaguardarne la sua funzione democratica e indispensabile per garantire una libera e corretta informazione. A Ronchi dei Legionari(Gorizia) il 26 settembre alle 20.30 viene presentato “La libertà di stampa. Dal XVI secolo a oggi” (Il Mulino editore) di Pierluigi Alliotti(giornalista professionista e studioso di storia contemporanea, insegna Storia del giornalismo alla Sapienza Università di Roma), invitato dall’ Associazione culturale Leali delle Notizie che organizza la sesta edizione del Festival del Giornalismo (in programma dal 22 al 26 settembre), in dialogo con Rocco Cerone, segretario del Sindacato regionale dei giornalisti del Trentino Alto Adige, Roberto Rinaldi responsabile del presidio di Articolo 21 per il Trentino Alto Adige e la moderazione di Carlo Muscatello presidente regionale Assostampa del Friuli Venezia Giulia.
Il 28 settembre a Bolzano sarà la volta di “La passione per la verità. Come contrastare le fake news e la manipolazione attraverso internet e social ed arrivare ad una corretta informazione e diffondere un sapere inclusivo”a cura di Laura Nota (Franco Angeli editore). Un corso deontologico promosso dalla Libera Università di Bolzano, Ordine dei giornalisti del Trentino Alto Adige, Sindacato dei Giornalisti del Trentino Alto Adige e del Veneto, FNSI ed Articolo21. I relatori sono Laura Nota delegata dal Rettore dell’Università di Padova per l’inclusione e la disabilità, (docente ordinario al Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata) e Roberto Reale giornalista e scrittore, docente all’Università di Padova al Master in Comunicazione delle Scienze e al Corso di Laurea Magistrale in Strategie di Comunicazione.
“La libertà di stampa: Dal XIV secolo a oggi” di Pierluigi Alliottiracconta la lunga storia della libertà di stampa: un diritto concepito nell’Inghilterra del Seicento come corollario alla libertà di coscienza, proclamato a fine Settecento in Francia dalla Dichiarazione dell’uomo e del cittadino e negli Stati Uniti dal Primo emendamento alla Costituzione. In Italia fu riconosciuto nel 1848 dallo Statuto albertino. Lo scoppio della Grande Guerra e l’avvento dei totalitarismi determinarono una battuta d’arresto nel cammino della libertà di stampa, poi solennemente sancita nel 1948 dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. Ancora oggi, tuttavia, in molti paesi questo diritto fondamentale è negato e i giornalisti sono perseguitati. Nell’introduzione l’autore richiama subito l’importanza del tema citando in più riprese Mario Borsa un giornalista che pur di non rinunciare alla sua indipendenza intellettuale si rifiutò di mettersi al servizio del fascismo e per questo fu arrestato. Corrispondente da Londra del “Secolo” di Milano, firma del “Corriere della Sera” e in seguito corrispondente dall’Italia del quotidiano “The Times”. «La libertà di stampa, che è l’anima e l’animatrice di tutte le libertà, è un problema fondamentale. È bene tornarvi su, pienamente ed elementarmente tanto più che il grosso pubblico – e, purtroppo, non il grosso pubblico soltanto – ha in merito idee inesatte, vaghe e confuse… di un problema che, ridotto nei suoi termini essenziali, è di una trasparente chiarezza e di una grande semplicità».
Con un distinguo fondamentale: «Per esercitare questa sua funzione – la più alta delle sue funzioni – è necessario che la stampa sia libera da ogni compromissione, o peggio, da ogni legame con gli uomini di Governo, Indipendenza dunque: indipendenza assoluta: il che implica nella stampa un grande senso di responsabilità». Oggi questo problema è ancora più stringente e se la libertà della stampa è sempre in pericolo è vero anche che la sua responsabilità non viene sempre esercitata e dimostrata nei confronti dei lettori. Uno di questi, Antonio Perrone, ha scritto alla rubrica Lettere del nuovo quotidiano “Domani” toccando un aspetto fondamentale ma trascurato dai più: «Credo che la libertà di stampa sia troppo spesso data per scontata da noi lettori che su questo tema ci consideriamo soggetti passivi che possono al massimo essere spettatori del panorama mediatico del proprio paese – e riferendosi alla censura da parte di Orbàn in Ungheria – questa storia ci ricorda che non è così: la libertà di stampa non è solo in mano ai giornalisti, ma anche soprattutto, in quello che noi lettori che ogni giorno scegliamo chi ricompensare per averci dato informazioni che ci aiutano a capire il nostro mondo».
Il lettore lancia anche un monito che non può che essere condiviso e sostenuto: «… Trovo ridicola l’idea che informarsi debba essere gratuito, nella nostra economia bisogna avere il coraggio di sostenere i mezzi di informazione che ci permettono di svolgere la nostra cittadinanza attiva nel migliore dei modi». Un diritto – dovere alla base della democrazia secondo chi ha inviato la lettera al quotidiano da pochi giorni nelle edicole. Proseguendo nella lettura de “La libertà di stampa. Dal XVI secolo a oggi”, utile a comprendere quanto sia stata sempre osteggiata la libertà di stampa nei secoli e in tutti gli stati, si si sofferma su quanto scritto nel 2018 dal direttore del Time Edward Felsenthal: «Oggi la democrazia nel mondo affronta la sua più grande crisi da decenni. Le sue basi sono state minate da invettive dall’alto e da tossine dal basso, da nuove tecnologie che alimentano antichi impulsi, da un cocktail di uomini forti e istituzioni indebolite. Dalla Russia a Riad, da Silicon Valley, la manipolazione e l’abuso della verità sono state il filo conduttore di molti dei principali titoli di quest’anno (2018, ndr), una minaccia insidiosa e crescente alla libertà».
Colpisce l’affermazione «… da nuove tecnologie che alimentano antichi impulsi” e in parallelo lo spiega bene anche Rosario Rizzuto,Magnifico rettore dell’Università di Padova nella Premessa che introduce “La passione per la verità” curato da Laura Nota: «… le fake news, intese come manipolazione della realtà, e diffusione di dati e immagini fraudolenti e distorti; un fenomeno capace di agire e a più livelli, così come la ricerca sul tema sta mettendo chiaramente in evidenza. Il rettore le riconduce alla «conseguenza di un’apparente “democratizzazione del sapere”, che rifugge il controllo delle procedure di verifica della scienza sperimentale galileiana, ma sempre più spesso sono strumento manipolativo secondo un disegno strategico coordinato da ideologie di gruppi dominanti. E in questo caso con l’uso delle fake news si arriva ad impattare direttamente e pesantemente i meccanismi di formazione del consenso della società democratica». Da qui l’importanza della ricerca che ha permesso la nascita di una collaborazione preziosa e reciproca tra il mondo della ricerca e quello dell’informazione. Argomento che verrà dibattuto nel corso del dibattito a Bolzano il 28 settembre.
Alliotti nel suo libro indica anche la responsabilità che hanno portato alla perdita di molti posti di lavoro nei giornali e la supremazia di Google e Facebook nel sostituirsi ai giornali per diventare «potenti distributori di notizie e informazione nella storia dell’umanità, rilasciando accidentalmente nel processo un’ondata storica di disinformazione», senza dimenticare un’altra conseguenza deleteria per una corretta e libera informazione, quella delle querele per diffamazione definite anche “temerarie”: un problema da affrontare in sede anche legislativa per fermare una deriva pericolosa che spesso impedisce la divulgazione delle notizie. La censura della stampa è descritta con puntuale descrizione storica dall’autore che cita molti esempi. Nel 1500, ad esempio, i papi e i regnanti di molti paesi si distinsero per impedire alla stampa di fare il loro dovere. Il comunismo in Russia e il fascismo in Italia imponevano un’idea di libertà di stampa funzionale ad esaltare ogni loro azione. Non la pensava così Voltaire nel 1771: «Non può esservi libertà presso gli uomini senza la libertà di spiegare il proprio pensiero», così anche per Rousseau che attribuiva all’opinione pubblica il compito di criticare e giudicare. L’autore spiega anche che «i rivoluzionari francesi erano ostili alla censura preventiva, ma nello stesso tempo contrari a una libertà di stampa illimitata. Dall’America all’Inghilterra la censura si manifesta anche in Italia nel corso dei secoli e i capitoli del libro “Il trionfo”, “L’eclissi” e “la libertà totalitaria” analizzano nel merito quanto sia stata determinante la politica italiana nel reprimere la libertà di stampa. E non deve sorprendere il passaggio dedicato all’esperienza giornalistica di Mussolini dove si vantava di di essere uno strenuo difensore della libertà di stampa.
Nel 1909 come direttore responsabile del giornale “L’Avvenire del Lavoratore” a Trento aveva subito numerosi sequestri da parte delle autorità austriache e la sua reazione di protesta non tardò a farsi sentire, così come nel 1913 alla direzione de “L’Avanti!” per aver scritto contro il governo Giolitti fu sottoposto a processo per poi essere assolto. Una dittatura fascista in cui lo stesso Mussolini smentendo il suo passato di giornalista paladino della libertà di stampa si distinse per abolire il libero pensiero e censurare la stampa. «Nel 1926 fu disciolta la Federazione nazionale della stampa italiana (il sindacato dei giornalisti fondato nel 1908 – scrive Alliotti – e dopo il fallito attentato al duce il 31 ottobre dello stesso anno, la stampa antifascista, già vessata dai sequestri e ridotta ad una condizione d’inferiorità, fu definitivamente messa al bando». E le conseguenze non si fecero attendere: la morte di Giovanni Amendola e Piero Gobetti per le conseguenze delle aggressioni squadristiche e Antonio Gramsci in carcere dopo 11 anni di prigionia. Tutti e tre colpevoli di essere stati giornalisti. L’epurazione di centinaia di giornalisti sgraditi al regime per le loro idee. Un regime “totalitario” in cui il duce esaltò la “stampa più libera del mondo intero è la stampa italiana (…) Il giornalismo italiano è libero perché, nell’ambito delle leggi del regime, può esercitare e le esercita, funzioni di controllo, di critica, di propulsione”. Parole che dimostrano la totale avversione nei confronti di un pensiero critico e svincolato dal potere.
Quanto accade ancora in molti stati come accaduto in Algeria il 15 settembre scorso con la condanna a due anni di reclusione al giornalista Khaled Drareni per aver pubblicato articoli sull’”Hirak”, la rivolta popolare che ha costretto alle dimissioni il presidente Abdelaziz Bouteflika nel 2019. Lo ricorda un ampio reportage dal titolo “Professione Reporter: ma in Algeria costa la galera” di Rachida El Azzouzi pubblicato sul Fatto Quotidiano il 21 settembre: «La condanna di Khaled Drareni per “istigazione a manifestazione non armata” e “minaccia all’integrità del territorio nazionale”, suona dunque oggi come un monito per tutti i giornalisti, che in Algeria lavorano già in condizioni molto difficili: il paese è al 146mo posto su 180 nella classifica per la libertà di stampa nel mondo. Questo è il messaggio delle autorità algerine: o ti metti in riga, al servizio del potere, o finisci in prigione. Il messaggio è rivolto – scrive Khaled Drareni – anche quello della libertà di espressione e delle libertà individuali che vengono violate ogni giorno».
Restando in Algeria l’autore de “La libertà di stampa” ricorda un articolo dello scrittore francese Albert Camus scritto nel 1939 quando ad Algeri lavorava come caporedattore del quotidiano “Le Soir républicain” (pubblicato solo nel 2012) «dove spiegava come un giornalista potesse rimanere libero davanti ad un regime illiberale: Erano quattro a suo dire, le virtù da coltivare: “la lucidità, l’opposizione, l’ironia e l’ostinazione” e “la lucidità” presupponeva la “resistenza agli impulsi dell’odio e al culto della fatalità”, spiegava Camus, sostenendo che un giornalista libero, nel 1939, non disperava e lottava per ciò che credeva vero come se la sua azione potesse influire sul corso degli eventi. “Non pubblica niente che possa istigare all’odio o provocare la disperazione. (…) Non c’è coercizione al mondo che possa indurre una persona con un minimo di rettitudine ad accettare di essere disonesta”. Il pensiero di Camus assume un valore straordinario per la sua attualità specie nel segnalare come dovrebbe agire la stampa in generale: “niente che possa istigare all’odio o provocare la disperazione” è quanto sta accadendo nella nostra società dove i titoli di alcuni giornali fomentano ogni giorno reazioni di intolleranza, discriminazione e diffamazione, esaltate anche dai social che le amplificano. Camus aveva centrato in pieno l’oggetto della questione se già nel 1939 affermava l’importanza nell’accertare l’autenticità di una notizia «ed è a questo che un giornalista libero deve prestare tutta la sua attenzione». Un capitolo intero è dedicato anche al mezzo televisivo diventato negli anni uno strumento in possesso di logiche di spartizione politiche: “La libertà d’antenna” descrive l’evoluzione della televisione a partire dal monopolio della RAI fino all’avvento delle emittenti private con la conseguente liberalizzazione del mercato e la supremazia delle televisioni di Berlusconi con le evidenti ingerenze quando da presidente del Consiglio emise il cosiddetto “editto bulgaro” con l’allontanamento di Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi colpevoli a suo giudizio di “uso criminoso della RAI” nei suoi confronti.
Esemplare la risposta che Enzo Biagi indirizzò a Berlusconi: «Cari telespettatori, questa potrebbe essere l’ultima puntata de Il Fatto (la rubrica curata dal giornalista in televisione, ndr). Dopo 814 trasmissioni, non è il caso di commemorarci. Eventualmente, è meglio essere cacciati per aver detto qualche verità, che restare a prezzo di certi patteggiamenti». Ma la libertà di stampa non è solo a rischio per la censura adottata da chi vuole zittire la voce dei giornalisti e imbavagliarla: il rapporto stillato dal “Comittee to Protect Journalist” di New York che si dedica alla difesa della libertà di stampa, conta che dal 1992 al 2020 i «giornalisti uccisi nel mondo sono oltre 1.900, una cinquantina dei quali nel 2019». Numeri che dimostrano come sia “un mestiere pericoloso” fare il giornalista e a dirlo è l’organizzazione non governativa francese Reporters sans frontières che ricorda anche i 389 giornalisti incarcerati e 57 tenuti in ostaggio. Cifre che vengono riportate nell’ultimo capitolo “ I nemici di oggi” scritto da Alliotti in cui si può capire come queste cifre dimostrino quanto sia grave allo stato attuale la condizione del giornalismo mondiale. Specie in Cina, Turchia, Arabia Saudita (il brutale assassinio di Jamal Khasoggi ne è la prova), in Egitto (dove attualmente oltre ad aver incarcerato numerosi giornalisti è detenuto anche Patrick Zaki lo studente universitario che frequentava una facoltà a Bologna). Il CPJ esamina stato per stato quanti giornalisti sono attualmente in carcere e segnala che nella sola Turchia alla fine del 2019 erano ben 47. L’Italia nella classifica di Reporters sans frontières per quanto riguarda la libertà di stampa è collocata al 43mo posto su 180 nazioni e cita anche i 20 giornalisti sotto scorta per le minacce subite dalla mafia, camorra e gruppi estremisti.
La Federazione nazionale della stampa ha consegnato di recente al vice ministro degli Interni, Matteo Mauri, un dossier contenente tutte le minacce ricevute dai giornalisti nell’ultimo anno per mano del presidente Beppe Giulietti.Si legge ancora nel libro di Pierluigi Alliotti: «Secondo i dati raccolti da Ossigeno per l’informazione, osservatorio patrocinato dalla FNSI e dall’Ordine nazionale dei giornalisti, nel corso del 2019 sono state documentate e rese note 433 intimidazioni o minacce nei confronti di altrettanti giornalisti o blogger italiani, la gran parte delle quali sotto forma di atti violenti (avvertimenti, aggressioni, atteggiamenti) e abuso di denunce e azioni legale. Le cosiddette “querele temerarie” che il Parlamento ha tentato di risolvere senza ottenere finora risultati». Un testo fondamentale per chi crede in una informazione libera svincolata da forme di controllo preventivo e riduttivo che minacci l’Articolo 21 della Costituzione, baluardo della democrazia e ogni giorno minacciato da chi pretenderebbe di non informare correttamente l’opinione pubblica. Pericolo rappresentato sempre più dalle fake news che imperversano non solo sui social, quanto anche sui media: niente è più grave che siano i giornali o gli altri strumenti di comunicazione a diffonderle.
Con l’aggravante spesso, come spiega Raffaele Lorusso,segretario generale della FNSI, nella sua Premessa a “La passione per la verità” quando «il cronista che racconta la verità e illumina periferie oscurate viene sempre più spesso additato come uno spacciatore di fake news, se non come un nemico del popolo. Questo è il grande inganno del presente. C’è un’idea pericolosa che si è diffusa a tutte le latitudini. Quella secondo cui, grazie all’iperconnettività, si possa fare a meno delle competenze (…) perché uno vale uno». È quanto accade all’interno di gruppi che nascono in rete e diffondono in modo del tutto «autoreferenziale false credenze, pregiudizi, paure e odio per tutto ciò che è diverso – prosegue Lorusso – , per questo è necessario che giornalisti e cittadini abbiano a disposizione gli strumenti per imparare e riconoscere le fake news e scoprirne i meccanismi di produzione e diffusione». Il saggio curato da Laura Nota diventa così uno strumento indispensabile per fare chiarezza su come il devastante problema dell’informazione intossicata e mistificata crea un circolo vizioso da cui è difficile sottrarsi. Il libro nasce dalla raccolta delle relazioni che sono state presentate al Convegno “L’informazione oltre gli stereotipi e le fake news per la costruzione di contesti inclusivi” che si è tenuto all’Università di Padova nel 2019 e curato dalla professoressa Nota. Nella prefazione Vincenzo Milanese (docente di Filosofia Morale a Padova) sottolinea il problema del “disordine informativo” e il conseguente caos comunicativo che oggi è alimentato da un’enorme quantità di messaggi” e fa un distinguo tra “informazione” e “comunicazione” dove la prima «ha come obiettivo la conoscenza» e la seconda mira alla «persuasione».
E non manca la segnalazione dell’aggravante rappresentata dalla “disintermediazione” (l’abolizione dei corpi intermedi rappresentati dai media per comunicare direttamente tra soggetti rappresentati dal cliente e il produttore senza mediazione, ndr). Laura Nota firma il capitolo “Dai rapporti manipolativi ai rapporti inclusivi, equi, sostenibili” e tocca il problema delle fake news: «in particolare quelle che sono state intenzionalmente diffuse, rappresentano la punta di un iceberg, una delle diverse forme con le quali si cerca di agire per il proprio tornaconto nel disprezzo di relazioni umane improntate a umanità, equità, giustizia, con l’intento di creare ulteriore vulnerabilità e problemi, favorire discriminazioni, diseguaglianze, arrivando persino a minare la convivenza pacifica e la stessa democrazia». Un giudizio netto e severo quanto veritiero dove le fake news instillano pregiudizi e forme di violenza se pur verbale (nei social è la consuetudine). «Si è assistito a una riduzione progressiva dello spazio dedicato al giornalismo attento, critico, riflessivo e all’aumento dello spazio dedicato a tematiche marginali, superficiali, se non proprio appartenenti a un’agenda scandalistica (McCurdy, 2012)» – citazione che Laura Nota richiama all’attenzione dei lettori e richiama anche i giornalisti al loro ruolo: «Anche i professionisti nell’ambito dell’informazione e della comunicazione dovrebbero imparare ad agire come “sentinelle” dell’inclusione pronte e cooperare sia per individuare forme comunicative discriminanti e manipolative (la manipolazione dell’opinione pubblica altra emergenza da affrontare, ndr), sia per dare vita e buone pratiche informative, comunicative, incentrate su una visione inclusiva e sostenibile della realtà».
La docente universitaria si sofferma anche sul ruolo educativo e formativo auspicabile per chi si occupa di informazione «per far comprendere con alfabetizzazioni economiche, tecnologiche, psicologiche, le minacce del XXI secolo, ma soprattutto di riflettere sulle motivazioni e sulle ragioni umane che ne stanno alla base». Ecco il punto focale che merita sempre più attenzione per contrastare le fake news. Impedire la manipolazione e l’inganno e implementare una cultura capace di riconoscere l’attendibilità di quanto viene comunicato. Paolo Pagliaro nel suo contributo scrive che è necessario «liberarsi dalla dittatura dei social. Liberare i media dalla subalternità al mondo dei social. È cresciuta una generazione di giornalisti indotta a pensare che i social siano lo specchio degli umori correnti. Una fonte di informazione attendibile. È un equivoco alimentato dalla pigrizia, dallo spirito del tempo, forse anche dalla superficialità e dalla fretta». Non va dimenticato l’insorgenza di una forma di narcisismo digitale che si propaga sempre più nel cercare visibilità. Paolo Pagliaro in “Cinque o sei cose che potremmo fare”, segnala quanto sia pericolosa «l’abolizione di ogni filtro professionale, la rinuncia delle verifiche, il rifiuto della famigerata mediazione» responsabile di aver fatto spazio alla «manipolazione, non alla democrazia dell’informazione ma alla dittatura della comunicazione».
Lo rileva anche uno studio del Media Lab di Boston pubblicato su Science, come ricorda Enrico Ferri (giornalista e già vicesegretario della FNSI) in “L’odio riscalda il cuore” (citando Umberto Eco in un suo scritto dedicato, appunto, al tema dell’odio, ndr) dove è stato riscontrato che una falsa notizia abbia il 70/% di possibilità (fonte Twitter) di essere “ritwittata” al posto di una notizia vera. «E più la si smentisce, anche attraverso la pur meritoria attività di “debuking”, più si autoalimenta in rete. Un disorientamento, quello creato dall’irrilevanza della verità che cresce – scrive Ferri – se a lanciare parole d’odio, razziste e omofobe, sono i leader politici o le istituzioni. Che l’immigrazione sia il “regno delle fake news” e della disinformazione è una constatazione pacifica tra gli studiosi dei numerosi enti, a livello globale, che studiano il fenomeno che ha raggiunto l’apice con la scandalo Cambridge Analytica». L’Italia ha un triste primato a riguardo: «considerato uno dei Paesi più disinformati sul tema delle persone con storie di migrazione, come rileva Paolo Pagliaro nel suo “Punto. Fermiamo il declino dell’informazione”. Lo sostiene anche la relazione finale della Commissione parlamentare sulla xenofobia e il razzismo Jo Cox. L’Italia viene classificata come il Paese con il più alto tasso di ignoranza al mondo, sul tema dell’immigrazione».
La stampa italiana in particolare quella vicina alle posizioni della di destra ha una responsabilità non indifferente nel fomentare sentimenti di odio verso chi si ritiene un’invasore o un diverso. Non esiste in Italia una normativa che punisca l’odio per “l’hate speech” diffuso in rete. Enrico Ferri per arginare questa deriva propone di «iniziare dai giovani con l’educazione ai diritti umani, alla libertà di espressione, e al mondo digitale per promuovere iniziative concrete, buone pratiche, percorsi inclusivi, è probabilmente la strada più lunga, ma anche quella che potrà dare risultati stabili nel tempo, strategie di lungo periodo, oltre le logiche emergenziali». Ferri segnala anche l’importanza della Carta di Roma che «raccomanda di segnalare l’origine etnica o religiosa, la nazionalità, solo quando essenziale alla comprensione della notizia, lo spazio assegnato a una notizia deve essere il medesimo, si tratti di italiani oppure non italiani, evitare nei titoli e nelle locandine, il sensazionalismo che possa provocare allarme sociale».
Una raccomandazione disattesa per le troppe violazioni ai principi della Carta e uno degli esempi più eclatanti di questa grave disinformazione è quello accaduto con l’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega dove i giornali hanno diffuso la falsa notizia che attribuiva l’omicidio a dei magrebini senza aver verificato la veridicità della notizia. “Il sonno della ragione genera mostri” è il titolo di un articolo pubblicato sul sito www.articolo21.org in cui si esamina la diffusione via social della notizia falsa ripresa poi dai giornali. «La nazionalità diventa un fatto politico – prosegue Ferri – la “bufala” è rilanciata da quasi tutti i quotidiani e le tv per ore. Il linguista Federico Fallopa segnala come “la Carta di Roma viene spesso disattesa dalle stesse testate che l’hanno sottoscritta”, e l’ex presidente dell’Associazione Carta di Roma, Giovanni Maria Bellu aggiunge: «La Carta non dà consigli ma prescrizioni vincolanti per tutti i giornalisti iscritti all’Ordine, spesso non sono seguiti atti concreti o sanzioni, da parte dell’Ordine nazionale dei giornalisti». Un maggiore rigore per far rispettare un principio cardine della Carta sarebbe auspicabile per non alimentare il clima d’odio che avvelena la convivenza civile e il rispetto per il prossimo.
Il libro che sarà presentato a Bolzano il prossimo 28 settembre con la partecipazione di Giuseppe Giulietti presidente della Federazione nazionale della stampa, Federico Boffa e Francesco Ravazzolo, professori della Libera Università di Bolzano, contiene delle riflessioni mirate a dare un contributo essenziale per chi legge nell’evitare il rischio di non «perdersi nella società della Post Verità, del tutti contro tutti, di una persona sola al comando e di immaginare futuri diversi, incentrati su equità, giustizia sociale, diritti umani, sostenibilità e inclusione», che solo una stampa basata sulla veridicità delle fonti, attenta a non cadere negli stereotipi di una informazione appiattita sul sensazionalismo, potrà avere credibilità nei lettori. Le buone pratiche devono essere perseguite da una stampa che sappia usare le parole con il loro senso appropriato e non come delle “pietre” definizione ripetuta da Giuseppe Giulietti nel suo paragrafo “Le parole non sono pietre”, citando l’articolo 3 della Costituzione: «che meglio simboleggia lo “spirito dei tempi”, della stagione della ricostruzione post – bellica. Al contempo, è anche il più distante, invece, dall’attuale “spirito dei tempi”, segnato fortemente dai venti di un sovranismo che esalta i miasmi del razzismo, dell’esclusione sociale, della negazione delle differenze e delle diversità». Non è un caso che Giulietti citi Orbán il Presidente ungherese responsabile di aver attaccato brutalmente le Convenzioni internazionali sui diritti, limitando la libertà di stampa nel suo Paese. L’analisi di tutte le Carte (da quella di Fiesole, Assisi, Roma, Venezia, Trieste, a quella di Padova, è una precisa e puntuale disamina di come i doveri dei giornalisti, i codici deontologici non vengono rispettati: «Quello che balza immediatamente agli occhi è la contraddizione tra il rigore delle norme e la loro sistematica e quotidiana violazione – scrive il presidente della FNSI – , basterà leggere le relazioni predisposte dalla Carta di Roma in materia di razzismo e discriminazione, per comprendere come, nella pratica quotidiana, tali norme siano aggirate o palesemente disprezzate; basti pensare agli editoriali di Vittorio Feltri, o al linguaggio usato da testate come “La Verità, ma cadute di stile e disprezzo della Carta dei doveri si registrano anche in altre testate e nelle stesse emittenti nazionali pubbliche e private, per non parlare dei blog e dei siti, che, spesso, sfuggono a qualsiasi controllo e sono diventati luoghi dove la Costituzione e i codici, civile e penale, sembrano non avere più diritto di cittadinanza».
Duole dover sottolineare questa affermazione così drammaticamente vera per una categoria che appare smarrita nel mantenere una credibilità indispensabile per poter svolgere il proprio ruolo. Se lo chiedono tutti gli autori contenuti nel volume e la domanda: “Avrà la democrazia gli anticorpi per resistere a ogni disarticolazione autoritaria”, non è retorica, ma svela l’urgenza di rimediare ad una problematica che fa dell’Italia un paese poco credibile e indifendibile da questo punto di vista. Per chi scrive e si è occupato anche di Sars-Cov-2 o Coronavirus in questi mesi di pandemia, si è trovato a confrontarsi con una narrazione giornalistica a volte fuorviante e poco attendibile, sbilanciata sul cercare di fornire risposte pseudoscientifiche al limite del paradossale. Tutto e il contrario di tutto con l’aggravante (in alcuni casi) di aver dato eccessiva importanza a pareri medici che si smentivano quotidianamente tra di loro come se fosse una gara ad arrivare per primi a identificare un virus dalle caratteristiche sconosciute alla scienza.
Non è semplice compendiare due testi così impegnativi quanto utili per chi desidera approfondire le tematiche sopraesposte e si rimanda alla lettura completa de La libertà di stampa e La passione per la verità: non c’è libertà se viene a mancare la verità e l’informazione se ne deve assumere la responsabilità per evitarne la scomparsa.
Il Sindacato dei Giornalisti del Trentino Alto Adige, Controcorrente ed Articolo21 di Bolzano solidarizzano con il presidente ed il segretario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana Giuseppe Giulietti e Raffaele Lorusso ed il segretario dell’Usigrai Vittorio Di Trapani per gli scomposti e sguaiati attacchi nei loro confronti.
“Non siamo tutti uguali” era e rimane l’incipit del manifesto fondativo di Controcorrente sposato dal gruppo dirigente del sindacato unitario dei giornalisti italiani, rifacendosi alla costituzione antifascista ed antirazzista, valori non mediabili e non sottoposti alle mode di uno strisciante e serpeggiante ritorno negazionista ad ideologie e comportamenti archiviati dalla storia.
Evidentemente la barra dritta tenuta dalla FNSI, da Articolo21 e dall’Usigrai danno fastidio.
E quando non si vuole accettare il gioco democratico cosa si fa? Si cerca di ribaltare il tavolo oppure inoculare il veleno della calunnia, dell’insulto, della delegittimazione.
Con grande fatica e tensione ideale, la FNSI ha riconquistato la centralità nelle relazioni sindacali con il governo e con gli editori e contribuito a riportare in carica all’INPGI un gruppo dirigente responsabile in grado di indirizzare l’istituto di previdenza dei giornalisti verso una nuova fase in grado di garantire l’autonomia della professione.
Rinnoviamo fiducia e stima nei vertici della FNSI e nella loro instancabile ed incessante azione per riaffermare sempre ed in ogni sede valori e diritti.
Il segretario regionale Rocco Cerone
I vicesegretari regionali Peter Malfertheiner e Lorenzo Basso
Il referente di Articolo21 di Trento e Bolzano Roberto Rinaldi
La Fondazione Antonio Megalizziè stata costituita e fortemente voluta dalla Federazione nazionale della stampa a Trento. Un impegno nato dalla volontà di dare un seguito all’impegno di Antonio
nel credere ad un’Europa unita e solidale su basi concrete nel
promuovere una cultura della formazione, rivolta ai giovani che si
vogliono avvicinare al giornalismo, e alla capacità di esprimere idee e
concetti nell’ottica di una libertà di pensiero. Venerdì 14 febbraio la cerimonia ufficiale di presentazione nella Sala di rappresentanza Depero all’interno del Palazzo della Provincia di Trento. La decisione era stata presa esattamente un anno fa durante la ventottesima edizione del Congresso della FNSI a Levico Terme (Trento) che si era svolto nel mese di febbraio del 2019 . Il presidente FNSI Giuseppe Giulietti
fin dal primo istante ha creduto nella sua creazione e grazie al suo
sostegno dimostrato nel trovare alleanze strategiche tra tutti gli enti
fondatori: FNSI, la Provincia autonoma di Trento e il suo presidente Maurizio Fugatti, il Comune di Trento, l’Università, l’Usigrai(il Sindacato dei giornalisti Rai), Articolo 21, RadUni, il Sindacato giornalisti del Trentino Alto Adige – Südtirol.
Giuseppe Giuliettiaveva così dichiarato a Trento dopo le esequie solenni in Duomo: «Sono
qui per rendere l’omaggio dei giornalisti italiani della FNSI e
dell’ODG ad Antonio Megalizzi, un giovane che aveva nel cuore l’Europa
unita, la solidarietà e la libertà di informazione. Lo ricorderemo dopo
avere ascoltato i familiari, i suoi colleghi e i suoi amici, trovando il
modo migliore per sostenere i suoi progetti professionali, di studio e
di impegno etico e civile. Ci appare davvero essenziale che la sua
testimonianza non venga dispersa e sia portata avanti da altri giovani
che siano in grado di ripercorrere le sue orme». Egli ha anche sottolineato il coraggio civile della Famiglia Megalizziche ha saputo trasformare il dolore in impegno di solidarietà, di legalità e di libertà. Intervistato Giuseppe Giulietti ha spiegato come sia importante il «compito di
non commemorare ma di far vivere le idee e i progetti di Antonio dotati
di straordinaria attualità per come operava nel contrastare le fake
news che imperversano nelle produzioni giornalistiche. Le straordinarie
testimonianze che ci ha lasciato sono riflessioni che dobbiamo fare
nostre e diffondere consegnare al presidente del Parlamento europeo David Sassoli e alla senatrice a vita Liliana Segre,
presidente della Commissione contro i linguaggi dell’odio. Nelle pagine
ereditate da Antonio troviamo preziose indicazioni per riportare il
giornalismo alla sua funzione essenziale: connettere parole e cose
riportando al centro della nostra attenzione non la percezione della
realtà, ma i numeri e la sostanza che definiscono la realtà».
Nel corso dei mesi precedenti i vertici della Federazione, Articolo 21, Usigrai, e Sindacato giornalisti, si sono incontrati spesso a Trento con la famiglia Megalizzi, intessendo un dialogo mediato dal segretario del Sindacato regionale dei giornalisti Rocco Cerone attraverso la consultazione con i rappresentanti istituzionali e politici della Provincia e Comune di Trento, e dell’Università. Nel corso di una visita alla Famiglia Megalizzi avvenuta pochi giorni fa il presidente Giulietti ha invitato i genitori di Antonio a Roma il 28, 29 febbraio e 1 marzo dove si svolgerà una manifestazione intitolata “Le parole non sono pietre” nella sede di Civiltà Cattolica e in altri luoghi in cui il dialogo è la base di ogni forma di convivenza civile, religiosa e democratica, promossa dall’Associazione Articolo21 alla quale parteciperanno anche le famiglie Rochelli, Cucchi, Sianie Impastato. Il prologo della presentazione della Fondazione avrà luogo giovedì 13 febbraio pomeriggio alle 15.30 con una cerimonia dove verrà svelata una targa intitolata alla memoria di Antonio Megalizzi presso la Facoltà di Lettere, dove un anno fa venne messo a dimora un ulivo in segno di pace. Nella stessa giornata alle ore 17, nella sala di rappresentanza del Comune di Palazzo Geremia, verrà presentato libro “Il sogno di Antonio” di Paolo Borrometi, (Solferino Editore), alla presenza dell’autore, di Marino Sinibaldi, direttore di Radio Rai 3 e del presidente Giuseppe Giulietti.
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