Nella sala convegni della rivista Civiltà Cattolica di Roma si è svolto venerdì 28 febbraio scorso un dibattito -seminario dal titolo “Parole non pietre” organizzato da Articolo 21 e dalla Federazione nazionale della stampa,
alla presenza dei rappresentanti di tutte le fedi religiose riuniti
insieme per la prima volta. Un evento senza precedenti per il valore
simbolico, ma soprattutto per una comunanza d’intenti, capace di andare
oltre a semplici promesse all’insegna di un dialogo antireligioso,
sociale, politico, civile alla base di ogni democrazia. Un dialogo
basato sulla convivenza pacifica e rispettosa delle idee e dei pensieri
altrui. “Parole non pietre” si basa sulla Carta d’Assisi: un documento sottoscritto in precedenza il 3 maggio 2019 nella sede della Federazione nazionale della stampa dai
tre esponenti più autorevoli delle religioni monoteiste. Un appello
urgente soprattutto ai giornalisti a cui viene chiesto d pubblicare le
notizie con un linguaggio consono e rispettoso della dignità altrui.
Un’informazione corretta e scevra da parole usate come pietre, epiteti
irripetibili, insulti e denigrazioni verso i più deboli, gli emarginati,
gli stranieri. Un linciaggio mediatico mediante la violenza verbale
capace poi di tramutarsi anche in atti fisici.
Nella Carta di Assisi è citato al punto nove uno dei principi cardini titolato “Connettiamo
le persone”: «La società non è un groviglio di fili, ma una rete fatta
di persone: una comunità in cui riconoscersi come fratelli e sorelle. Il
pluralismo politico, culturale, religioso è un valore fondamentale.
Connettiamo le persone». Contro ogni forma d’odio e razzismo la
parola è fondamentale se utilizzata affinché si possano costruire dei
“ponti e non innalzare dei muri” come spesso ricorda il presidente della
FNSI Giuseppe Giulietti, l’artefice di queste tre giornate culminate domenica 10 marzo con la deposizione della “Panchina della Memoria” (realizzata dall’associazione Leali delle Notizie di Ronchi dei Legionari)
nel Ghetto ebreo di Portico d’Ottavia di Roma, e dedicata a giornalisti
e tipografi ebrei romani vittime della deportazione. Erano presenti Ruben Della Rocca, vice presidente della Comunità Ebraica di Roma; Mario Venezia, presidente della Fondazione Museo della Shoah; David Sassoli presidente del Parlamento europeo e della sindaca di Roma Virginia Raggi.
Nella sede di Civiltà Cattolica si sono susseguiti gli interventi di Raffaele Lorusso segretario generale della Federazione nazionale della stampa, Guido D’Ubaldo, segretario del Cnog, Roberto Natale, coordinatore Comitato scientifico di Articolo21; padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica; Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero delle Comunicazioni della Santa Sede; Muhammad Abd al-Salam, segretario dell’Alto Comitato per l’attuazione documento sulla fratellanza; Ruth Dureghello, presidente della Comunità Ebraica di Roma; Alessandra Trotta, moderatrice della Chiesa Valdese; Abdellah Redouane,
segretario generale del Centro islamico culturale d’Italia; il
sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri con delega
all’Editoria, Andrea Martella. Le loro firme sono state apposte sul disegno realizzato da Mauro Biani che rappresenta un ponte formato da una penna su cui si incontrano dei giovani provenienti da entrambe le direzioni.
Ad aprire il convegno Elisa Marincola portavoce di Articolo 21 che ha spiegato come l’iniziativa “Parole non pietre” dove confronto serviva per fornire una « sana informazione e una condivisione per noi a noi stessi», rifacendosi a quanto scritto nella Carta d’Assisi, e annunciando il saluto video registrato di Liliana Segre presidente della Commissione parlamentare contro il razzisimo, l’antisemitismo e la discriminazione: «le
parole contro l’odio non sono pietre, sono messaggi che non hanno credo
politico, religioso ma sono universali che uniscono e non dividono.
Portano conforto. Per chi ha sofferto per le pietre il fatto che si
parli di pace è importante. Sono felice che tante persone di fedi
diverse si riuniscano per celebrare la pace sotto il cielo di Assisi e
abbiano firmato la Carta d’Assisi».
Padre Antonio Spadaro, direttore della rivista Civiltà Cattolica (fondata nel 1850, la più antica d’Italia) ha ribadito come sia fondamentale operare con professionalità per «avere a cuore una delle architravi della nostra democrazia. La declinazione in tutte le forme di comunicazione ci fa chiedere quale società ho in mente? Quale voglio costruire? Lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella ci rivolge un monito quando dice di “sentirsi e riconoscerci in una comunità di vita e di comune destino”. Questo significa condividere valori e prospettive, diritti e doveri, parole da scolpire. I media svolgono un ruolo fondamentale nella comunicazione che costituisce un ambiente reale e non virtuale e ogni informazione crea delle relazioni e ogni comunicazione diventa informazione. In questi tempi una malattia epidemica ci mette sotto stress attaccando anche la nostra fisiologia della nostra anima ma dobbiamo combattere anche un’altra influenza ed eliminare l’odio contro il diverso. Viviamo in bolle filtrate dove ci mettiamo in contatto solo con chi la pensa come noi ».
Padre Spadaro ha voluto ricordare anche Antonio Megalizzi
come un esempio di chi voleva contrastare ogni forma di linguaggio
responsabile di alimentare intolleranza e odio verso gli altri. Un
pensiero ripreso anche da Raffaele Lorusso segretario generale della FNSI: «Parole
e non pietre richiama alla responsabilità di azioni condivise e il
Congresso di Levico ha rappresentato lo spartiacque tra chi ritiene che
uno vale uno e che si riconosce nella Costituzione antifascista. In
un’ottica di post verità c’è chi si sforza di raccontare i fatti e c’è
chi fa scatenare reazioni scomposte e irrazionali e attraverso l’uso di
parole responsabili si cerca di far allontanare chi ne fa un utilizzo
demagogico. Il confronto può diventare acceso ma non deve trasformarsi
in una permanente chiamata alle armi, ad una narrazione che tende ad
escludere e non ad includere. Dobbiamo tutti collaborare a costruire
ponti e non muri e alimentare il terreno fertile si cui operare in
questo senso. La Rete ha ingigantito il fenomeno su cui si basa il
concetto distorto dell’uso delle parole. Viviamo in una democrazia
liberale dove si sta cercando di ostacolare – ha proseguito Lorusso – la
mediazione e i confronti alla base stessa della democrazia.
L’accesso alla Rete rende possibile il fenomeno di proliferazione
dell’utente con la creazione di gruppi chiusi dove si propagano fenomeni
di paura. Voglio citare Stefano Rodotà (il primo Garante per la protezione dei dati in Italia, ndr) il
quale facendo riferimento all’habeas corpus (“che tu abbia il tuo
corpo”, ndr) parlò della necessità di arrivare alla definizione di
“habeas data” estendendo alla Rete il diritto come sancito dall’habeas
corpus di curare un fenomeno che ha la responsabilità di aver creato
disagio sociale, diseguaglianze e violazione dei pari diritti di tutti e
delle eguaglianze».
Se l’habeas corpus è stato pensato per tutelare l’essere umano nella
sua integrità fisica (nel rispetto della sua dignità di corpo fisico) a
garanzia dei propri diritti, oggi è fondamentale poter proteggere la
libertà di una persona riconoscendo l’esistenza di un corpo digitale. «Il
disagio sociale che si è venuto a creare è il risultato di politiche
sempre meno attente fino ad aver creato false notizie e questo ha
agevolato l’azione dei professionisti della demagogia. È necessario
ridurre le diseguaglianze e gli ultimi del mondo del lavoro. Anche le
parole tornino ad avere il loro significato» – ha concluso Raffaele Lorusso.
In un’epoca dominata dalle tecnologie digitali in cui la vita di
ciascuno è condizionata in modo sempre più invasivo parlare di corpo
digitale assume un significato preciso e non si può prescindere da
quelle che sono le modificazioni e invasioni della propria libertà e
dignità personale. Connessioni pervasive, divulgazione di dati
sensibili, fino ad arrivare ad un uso compulsivo e distorto e
responsabile di alimentare anche una disinformazione generalizzata.
Tutto viene rilevato da queste tecnologie e reso pubblico, ogni gesto,
azione fisica ed emotiva spesso manipolata. Roberto Natale del comitato scientifico di Articolo 21 ha poi spiegato l’importanza della Carta d’Assisi: «non
è solo una carta dei giornalisti ma essa confluisce sulla strada dei
diritti creata a fine anni Ottanta dal gruppo di Fiesole, ma è anche la
carta dei doveri . Va contrastata la disintermediazione. Dobbiamo tutti
noi giornalisti dimostrare la nostra responsabilità per impedire la
marea montante dell’odio. L’assemblea parlamentare europea ha
richiamato l’Italia per il linguaggio d’odio che imperversa nella nostra
politica e nell’informazione. La Carta d’Assisi non nasce dal buonismo,
non chiede di guardare la realtà con gli occhiali rosa ma di accertare e
raccontare solo la verità. Lo ha ribadito anche il presidente
Mattarella nel premiare semplici cittadini che non è un problema di
essere buonisti; il tema del buonismo è emerso come riflesso
condizionato nei media vedi certi titoli di giornali – ha spiegato Roberto Natale – come “prove
tecniche di strage”; “accogliamo tutti anche i virus”; “ ora ci diamo
tutti una calmata!”. La società non si regge sulla legge della
lacerazione sociale, dobbiamo imparare a dare l’informazione con i
numeri giusti altrimenti ci si avvelena tra quella che è la dimensione
reale e quella della percezione ricevuta dei cittadini. Noi giornalisti
abbiamo la responsabilità di combattere l’emotività».
Il direttore dell’Osservatore Romano Andrea Monda
ha voluto ricordare nella circostanza dell’evento anche la catastrofe
umanitaria che si è verificata in Siria con un milione di sfollati dove
molti media omettono di darne notizia. Anche questo è un modo di fare
disinformazione alla pari di chi scrive false notizie. «La Carta
d’Assisi ci dice come una società incapace di reggere non cresce se si
alimenta solo dentro le camere dell’ego e se ciascuno si connette solo
con se stesso. Dobbiamo tenere vivo il dialogo». Il governo era rappresentato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri con delega all’Editoria, Andrea Martella
il quale ha portato un contributo efficace alla discussione (approvato
dall’Ordine dei giornalisti che ha concesso i crediti formativi
-deontologici): «Quando le parole vengono usate in modo strumentale
contro l’interlocutore visto come un nemico, diventano un mezzo per
colpire, per indurre paura e attaccare e mortificare l’altro. Per
impedire il permesso di far entrare gli individui e gli altri popoli e
alimentare il tempo dell’odio e dell’intolleranza che si diffonde, penso
all’omofobia, al bullismo, al sessismo e al razzismo. l’odio è uno solo (riferendosi alla strage in Germania da parte di un uomo verso i turchi, alla strage in Nigeria, Burkina Faso, ndr) e
il movente che sia razziale e di genere è la stessa cosa. L’odio è una
pulsione negativa e compagno di viaggio dell’umanità come tutte le altre
pulsioni. Emanuele Macaluso (politico e giornalista, ndr) aveva
spiegato come “la grammatica ha liberato l’insulto” e ora si può odiare
apertamente grazie ad una normalizzazione dialettica (negativa, ndr) e alla base dell’odio c’è la violenza verbale. L’incitamento all’odio e le notizie false (e i media ne sono spesso responsabili, ndr) progrediscono in parallelo – ha spiegato Martella – anche
se non bisogna demonizzare internet e i social, questi hanno fatto
crescere un lato oscuro, dove si è creato il clima dell’odio. Va
sostenuta la complessa partita normativa con la creazione di regole pubbliche
e l’autoregolamentazione in nome di una battaglia culturale. I nativi
digitali che anno conosciuto il principio dell’informazione reale (la generazione di chi è cresciuto insieme alla diffusione delle nuove tecnologie informatiche, ndr). Esiste uno scarto tra percezione e realtà e alfabetizzazione funzionale, causa anche la scarsa lettura».
Il sottosegretario Martella ha ricordato
anche l’impegno per la commissione per l’equo compenso rivolta alla
professione giornalistica, la ricostituzione dell’osservatorio contro le
intimidazioni ai giornalisti e in conclusione ribadendo la necessità di
credere nel «principio del bene sempre presente in ogni credo e anche quello della laicità». Paolo Ruffini prefetto del Dicastero delle Comunicazioni della Santa Sede: «i
titoli accattivanti dei giornali diventano titoli cattivi e anche le
storie peggiori possono avere la possibilità di riscatto e di
trasformazione». Ruth Dureghello, presidente della Comunità Ebraica di Roma: «stiamo
vivendo in una fase dove assistiamo ad una costruzione di un’ideologia
basata sulla divisione ed è preoccupante perché è già accaduto. Un
finalismo asservito alla propaganda. Ringrazio Giuseppe Giulietti per la
sensibilità dimostrata e per l’ascolto condiviso nel cercare di fermare
i linguaggi d’odio, il pericolo di un’implosione è forte e grave e non è
solo limitato ai noi ebrei e altre minoranze, ma a tutta la società».
La chiusura del dibattito è stata affidata al presidente della Federazione nazionale della stampa: «i
processi democratici sono fatti dalle comunità e non dai leader
solitari. Ci sono trasmissioni televisive con alti indici di ascolto ma
dal basso indice di dignità. Per farlo devi essere radicale sull’analisi
ma la radicalità è dare voce all’urlo, all’insulto. I politici vengono
chiamati nelle trasmissioni televisive e questo diventa un problema
democratico. (Il sociologo Zygmunt Bauman e il filosofo Loenidas Donskis, sono gli autori di “Cecità morale”; quest’ultimo scrive: “Se
un politico non va in tv, non esiste – ma questa ormai è storia
vecchia. La novità è che, se non sei sui social network, neanche tu
esisti”. Cit. da “Cercami su “Instagram. Tra Big Data, solitudine e iperconnessione” di Serena Valorzi e Mauro Berti (Reverdito edizioni). Noi siamo stati accolti qui a Civiltà Cattolica da Padre Spadaro mentre in altri luoghi ci escludono – ha ricordato Giulietti – e
a lui sono state rivolte spesso delle accuse attaccandolo per le sue
prese di posizione contro il sovranismo. Ci sono dei giornalisti che
devono andare a casa per aver dimostrato di essere squadristi in quello
che scrivono. Noi, invece, firmiamo di nuovo la Carta d’ Assisi per dire
no alla penna come strumento di guerra surrettizio, ma uno strumento di
conoscenza. Per ricordare i tanti giornalisti n carcere ora dall’altra
parte del Mediterraneo. Per la liberazione dalle querele bavaglio. Per
dire no ad una cultura del “me ne frego” responsabile di aver ammorbato
il nostro paese. Il nostro impegno deve essere condiviso a tutti senza
essere mai una corporazione e dobbiamo disarmare chi usa le parole come
pietre». Come quelle ascoltate in questi giorni commentando l’emergenza del Covid 19 (coronavirus) come ha fatto, ad esempio, Vittorio Sgarbi.