Pubblichiamo di seguito una lettera scritta dal presidente dell’Ungp dell’Emilia Romagna, Marco Gardenghi.
Da troppo tempo circolano leggende metropolitane sulla ex Fissa e sui tempi eccessivamente dilatati per il pagamento di coloro cha da anni sono andati in pensione senza potere riscuotere quanto dovuto. Tali leggende metropolitane, che stravolgono la verità e che alimentano solo stupide ed inutili strumentalizzazioni da parte di chi cerca di ingenerare polemiche fini a sé stesse e con lo scopo ad ogni tornata elettorale di racimolare una manciata di consensi in grado di dare un precario senso alle proprie vuote politiche sindacali, sono troppo spesso prive di contatto con i fatti come si sono realmente svolti.
È evidente che in questa vicenda le responsabilità dei vertici apicali degli organismi di categoria ci sono state e sono più che evidenti ma non da meno esistono anche responsabilità di una base che ha spesso ignorato il problema prima che il proprio culetto finisse sulla graticola. Allora è bene fare una volta per tutte il punto su come sono andate davvero le cose.
Tutti i problemi sono cominciati verso la fine degli anni Ottanta quando l’intero settore editoriale ha cominciato a registrare pericolosi segnali di crisi. Fino a quel momento la parola disoccupazione non esisteva di fatto, il contratto di lavoro (allora c’era solo il contratto stipulato tra Fnsi e Fieg) si rinnovava con una sufficiente facilità e gli aumenti salariali risultavano sempre soddisfacenti e corposi. Poi la crisi è cominciata e dopo una sensazione di aumento dei posti di lavoro sono intervenute crisi strutturali e negli anni successivi è cominciato un uso massiccio degli ammortizzatori sociali a cominciare dai prepensionamenti per arrivare nella seconda metà degli anni Novanta ad una esagerata utilizzazione della solidarietà tutta a carico (reintegrazioni e contributi figurativi) dell’Inpgi che è stato uno dei veri motivi del default dell’Istituto di via Nizza.
E con questa situazione anche l’istituto della ex Fissa è entrato in crisi. Chi usciva percepiva nel giro di pochi anni cifre rilevanti mentre chi entrava non era in grado di alimentare quel fondo in modo sufficiente. È stato in quegli anni che la categoria, tutta assieme, vertici e base, non hanno compreso che occorreva modificare le regole, talvolta vere e proprie storture, per evitare il tracollo che poi si è puntualmente verificato alcuni anni dopo. Occorreva innanzi tutto cambiare alcune formule sbagliate a cominciare dalla possibilità di potere ricevere più di una Fissa nel corso della carriera e di vedersi erogate cifre al di sopra della decenza: alcuni colleghi hanno ricevuto una ex Fissa di molte centinaia di migliaia di euro, fino a un milione di euro, la qual cosa ha impedito a chi doveva ricevere cifre molto più modeste di vedersi erogato quanto gli spettava. Sarebbe bastato, come aveva proposto qualcuno, limitare la ex fissa ad una cifra ad esempio di 150-180 mila euro, cifra già molto alta, ma di gran lunga inferiore a quella elargita ad alcuni direttori eccellenti, per evitare il successivo default.
Ma tutto questo colpevolmente non è stato fatto per mancanza di coraggio e la responsabilità è di tutti, nessuno escluso, anche di coloro che oggi gridano allo scandalo. Oltre a ciò è mancata una gestione trasparente di tutta la materia: le informazioni latitavano sia da parte della Fnsi sia da parte dell’Inpgi che per anni, lo è stato anche per il 2022, ha avuto semplicemente il ruolo di ente tesoriere che erogava la ex fissa secondo le regole stabilite da Fieg e Fnsi e che, è bene sottolinearlo, non ha mai avuto responsabilità di gestione del fondo. Semmai da via Nizza non sono mai arrivate le necessarie informazioni di erogazioni delle quote, una semplice operazione che avrebbe evitato ulteriori polemiche strumentali. Se si vogliono attribuire responsabilità all’Inpgi vanno semmai cercate nel mancato controllo dell’andamento del Fondo ex Fissa e del suo precario stato di salute che avrebbe dovuto portare a lanciare un allarme in modo deciso.
Nelle scorse settimane la Cassazione avrebbe dovuto pronunciarsi sul tema del ruolo dell’Inpgi quale ente debitore nei confronti dei giornalisti in attesa della erogazione della ex fissa. Una responsabilità più volte negata da numerose sentenze dei tribunali che hanno rigettato le istanze dei giornalisti creditori e che trovano consolidate certezze nella sentenza della corte d’appello del tribunale di Roma.
Una volta per tutte va chiarito che la ex Fissa rappresenta un onere a carico degli editori. È un loro debito contrattuale. La Fissa era contrattualmente pagata dalle singole aziende ai propri giornalisti dipendenti. Ad un certo punto gli editori hanno chiesto, per motivi di bilancio (la legge obbligava ad inserire nel bilancio aziendale gli accantonamenti per la Fissa) di creare un fondo e “socializzare” la Fissa, che non sarebbe stata più erogata dalla singola azienda (ad eccezione della Rai) ma appunto dal fondo alimentato dalla contribuzione degli editori. Ma nel corso degli anni gli editori non hanno rispettato gli accordi a dimostrazione che la “socializzazione” non ha funzionato.
Ad ogni rinnovo contrattuale il sindacato ha chiuso un occhio, anzi tutti e due, con la giustificazione che altrimenti il contratto non si sarebbe chiuso. Oggi la Fieg ha anche proposto di sanare definitivamente il debito per la ex Fissa qualora si rinnovi ilo contratto alle sue condizioni, ossia con un taglio del costo del lavoro del 30 per cento andando ad incidere su varie voci come ferie, permessi, lavoro domenicale, festività e lavoro notturno: una indecente piattaforma che non permette nemmeno di sedersi al tavolo per un confronto.
Non solo, ma se non ci si affretterà a creare un istituto ad hoc che possa gestire tutti gli istituti contrattuali che l’Inpgi non è più in grado di assicurare, si rischia di perdere tutto quanto e di trovarsi in tempi ravvicinati a trasformare quanto dovuto per la ex Fissa in un credito inesigibile.
In questo momento, è in corso un confronto tra Fnsi e Fieg anche se è difficile prevederne gli sviluppi e i termini per il superamento dei problemi tuttora aperti.
Va detta un’altra verità: se oggi e in futuro una piccola quota di ex Fissa è stata e verrà pagata a coloro che ne hanno diritto lo si deve ad un accordo tra Fieg e Fnsi che nell’ultimo rinnovo di contratto stipulato il 24 giugno 2014 hanno previsto all’allegato G la riformulazione della ex fissa che di fatto è stata soppressa per le nuove generazioni e sostituita con una contribuzione versata nel Fondo di pensione complementare.
In tale accordo si prevedeva anche un limite massimo temporale di erogazione di quanto spettante ai singoli giornalisti, limite che non sarà però rispettato per la carenza di denaro nel Fondo.
L’unico aspetto positivo ai quali gli editori non possono sottrarsi, ma lo farebbero molto volentieri, è quanto fu stabilito nel successivo accordo del 18 settembre 2014 nel quale oltre a ribadire quanto scritto nel cnlg si stabilisce che la quota annua da erogare ai giornalisti creditori non possa essere inferiore a tremila euro lordi.
Non inferiore che ha permesso agli editori di versare nel Fondo ex Fissa non le quote sufficienti ad estinguere il debito ma a versare almeno quei tremila euro lordi che annualmente a dicembre arrivano nelle tasche dei giornalisti creditori.
Per alcuni di questi il credito si estinguerà in alcuni anni mentre per altri l’attesa sarà purtroppo molto più lunga.
Secondo una verifica della situazione debitoria del Fondo ex fissa ad ottobre 2022 i creditori in attesa di vedersi erogata la propria ex fissa sono 2317 per un totale debitorio da parte del Fondo di 117 milioni di euro con un 50 per cento di creditori che si colloca in una fascia tra 25 e 50 mila euro, con 650 casi che prevedono un credito tra 50 e 100 mila euro, mentre sono 31 i casi di giornalisti che hanno un credito superiore a 200 mila euro.
Altro aspetto positivo dell’accordo stipulato nel rinnovo del contratto di lavoro del giugno 2014 è l’inserimento al punto 4 dell’allegato G delle norme che regolamentano il decesso dell’avente diritto, nel senso che la posizione individuale viene riscattata dagli eredi, particolare non di poco conto visto l’andamento temporale delle liquidazioni.
Va aggiunto che in un secondo momento fu tentata una soluzione di compromesso lasciando facoltà ai giornalisti creditori di potere arrivare ad un accordo che prevedeva (le opzioni erano più complesse ma qui per rapidità semplifichiamo) la liquidazione immediata in una unica tranche del 50 per cento di quanto spettante. In molti aderirono a tale accordo e per sanare tutte le posizioni, condizione impossibile con quanto c’era nelle casse del Fondo, fu ipotizzato, per arrivare alla cifra necessaria a completare la finalizzazione del progetto, un finanziamento da parte dell’Inpgi di un importo fino a 35 milioni di euro che gli editori si impegnavano a restituire all’Istituto di via Nizza ad un tasso del 4,60 per cento. Un tasso dai contorni usurali e che in quel momento nessun investimento, nemmeno quelli più a rischio, poteva offrire.
Ma anche questa volta un errore vanificò tutto quanto. L’investimento venne adottato dal cda dell’Inpgi impegnando denaro che era nelle casse dell’Inpgi 1, ossia dalla gestione principale, che aveva serissimi problemi di gestione e che era fortemente in crisi, già in prossimità del default, e così i ministeri vigilanti, che in un primo momento avevano espresso parere favorevole all’accordo, bloccarono tutto quanto ritenendo che un ente già in forte crisi non poteva “prestare” (anche se in verità non si trattava di un prestito ma di un investimento dal tasso di interesse molto vantaggioso) una tale cifra di denaro.
Sarebbe bastato che l’operazione avesse interessato un investimento operato attraverso la Gestione separata, ossia dell’Inpgi 2, le cui casse erano largamente in attivo, per impedire con ogni probabilità ai ministeri vigilanti di opporsi alla operazione.
Ora, dopo la confluenza di Inpgi 1 nell’Inps tutto è diventato molto più complicato e all’orizzonte non si vede una soluzione a breve termine del problema con gli editori che non sono certo dell’avviso di versare nelle casse del Fondo l’ingente cifra di denaro che servirebbe a sanare il loro debito con i giornalisti creditori.
Resta inoltre sul tavolo il problema di individuare un ente che gestisca le erogazioni delle quote annue, ruolo fin qui svolto dall’Inpgi ma che non necessariamente dovrebbe essere riconfermato. La commissione paritetica, composta da Fieg e Fnsi, dovrà indicarlo, speriamo in tempi brevi e, ci auguriamo, con una informazione sullo stato dell’arte più trasparente che in passato dove la nebulosità della difficile situazione ha contribuito ad alimentare sterili e strumentali polemiche.
Marco Gardenghi
Presidente Ungp Emilia-Romagna