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Solidarietà a Giulietti e Di Trapani dal Sindacato giornalisti Trentino Alto Adige

Il Sindacato dei Giornalisti del Trentino Alto Adige, Controcorrente ed Articolo21 di Bolzano solidarizzano con il presidente ed il segretario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana Giuseppe Giulietti e Raffaele Lorusso ed il segretario dell’Usigrai Vittorio Di Trapani per gli scomposti e sguaiati attacchi nei loro confronti.

“Non siamo tutti uguali” era e rimane l’incipit del manifesto fondativo di Controcorrente sposato dal gruppo dirigente del sindacato unitario dei giornalisti italiani, rifacendosi alla costituzione antifascista ed antirazzista, valori non mediabili e non sottoposti alle mode di uno strisciante e serpeggiante ritorno negazionista ad ideologie e comportamenti archiviati dalla storia.

Evidentemente la barra dritta tenuta dalla FNSI, da Articolo21 e dall’Usigrai danno fastidio.

E quando non si vuole accettare il gioco democratico cosa si fa? Si cerca di ribaltare il tavolo oppure inoculare il veleno della calunnia, dell’insulto, della delegittimazione.

Con grande fatica e tensione ideale, la FNSI ha riconquistato la centralità nelle relazioni sindacali con il governo e con gli editori e contribuito a riportare in carica all’INPGI un gruppo dirigente responsabile in grado di indirizzare l’istituto di previdenza dei giornalisti verso una nuova fase in grado di garantire l’autonomia della professione.

Rinnoviamo fiducia e stima nei vertici della FNSI e nella loro instancabile ed incessante azione per riaffermare sempre ed in ogni sede valori e diritti.

Il segretario regionale Rocco Cerone

I vicesegretari regionali Peter Malfertheiner e Lorenzo Basso

Il referente di Articolo21 di Trento e Bolzano Roberto Rinaldi

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Lorusso: «La FNSI nel circuito dell’odio per il suo ruolo: la rete non è porto franco»

Era inimmaginabile e fuori tempo che un Sindacato europeo nel 2020 si trovasse alle prese con attacchi squadristi la cui identità è così simile a quella di un’epoca di regime che sembrava passata per sempre. Eppure è accaduto alla Federazione Nazionale della Stampa Italiana, in una democrazia dell’Unione europea. Ed è da questo assetto, quasi surreale, che inizia la riflessione di Raffaele Lorusso, il segretario nazionale della FNSI, il sindacato colpito direttamente da una macchina certamente organizzata che ha messo nel mirino il presidente Giuseppe Giulietti e una lunga serie di giornalisti che raccontano l’immigrazione e tutto ciò che ci gira attorno.

«Ci troviamo davanti ad insulti gravi ed è un fenomeno che, purtroppo va avanti da tempo. Lo stiamo analizzando sotto vari profili, intanto quello dell’aggressione vera e propria perché ci sono anche minacce di morte, di violenza fisica e tutto il corollario tipico dello squadrismo che non tollera e attacca ciò che non condivide. Poi – dice Lorusso – stiamo cercando di risalire alla fonte di questo fenomeno. La ‘macchina’ degli insulti ha una matrice o un’ispirazione neofascista e neonazista, ossia riferibile a gruppi che fanno della discriminazione un loro punto di riferimento ideologico. Inoltre c’è l’aspetto che riguarda l’identità di chi insulta e minaccia sul web, molto spesso siamo di fronte ad account o profili che difficilmente sono riconoscibili o riconducibili ad una persona fisica, eppure alimentano la famosa ‘batteria’ che parte con notizie specifiche, quelle sui migranti».

Le minacce a Giuseppe Giulietti, presidente della FNSI, sono l’indicatore che si è superato il segno e che si vuole attaccare un organismo intero, una funzione democratica, in questo caso il sindacato dei giornalisti. Cosa si fa ora, in concreto?

«Come ho detto, stiamo analizzando il fenomeno da tempo e ora lo monitoriamo con maggiore attenzione. L’avvocato Giulio Vasaturo, per conto della Federazione sta raccogliendo tutte le prove per presentare un esposto e procedere all’accertamento delle responsabilità con l’ausilio delle forze investigative e andremo fino in fondo a questa storia perché è gravissimo l’attacco a Beppe Giulietti e alla FNSI, quindi a tutti i giornalisti. Ricordiamo la genesi di questi attacchi: Giulietti, come sempre, ha difeso la professione e la democrazia, ha difeso i colleghi che smascherano le bufale sui migranti e in quest’ultimo periodo ce ne sono state molte. Mi riferisco, per esempio, alla notizia dei cani mangiati dai migranti a Lampedusa, che, oltre ad essere una palese bufala, è stata anche una storia capace di creare allarme sociale e tensione. I colleghi che hanno svelato la verità sono stati vittime di vili e pesantissimi attacchi, Giulietti ha fatto il Presidente della Fnsi e con la sua sensibilità li ha difesi. Questa è la storia. Poi c’è altro».

Ancora altro?

«Sì. Qui ci sono account e persone fisiche che non riconoscono l’Articolo 3 della Costituzione, che fanno delle discriminazioni razziali, ideologiche, politiche una loro idea precisa da promuovere e chiunque non la pensi o non sostenga ciò che dicono e pensano  finisce nel mirino. Questo è squadrismo. Che, peraltro, non si consuma solo con insulti in rete. Ci sono colleghi sotto scorta perché dagli insulti in rete si è passati al pericolo concreto per la loro incolumità fisica. Paolo Berizzi è sotto tutela perché ha scritto di gruppi neonazisti e dei loro affari, altri colleghi sono stati minacciati per lo stesso tipo di racconto. Tutto questo è impensabile, inaccettabile».

Da giornalista, come giudica il paradosso per cui chi smaschera le bufale viene preso di mira? Siamo vicini al nobilitare il falso di cronaca, l’opposto di ciò che si chiede ad un giornalista?

«C’è di più: non si tratta solo e sempre di pubblicare e veicolare sui social notizie false, il che è gravissimo. Qui siamo di fronte alla costruzione di bufale, una costruzione finalizzata ad avallare una certa idea politica. Mi spiego meglio: vogliamo dire che i migranti sono tutti violenti e sono un pericolo e non sono tutti in fuga dalle guerre? Bene, allora pubblichiamo il falso, come la storia dei cani»

E adesso: come si va avanti? Come si supera tutto questo?

«Intanto usiamo gli strumenti che ci sono. Denunce, richieste di accertamento delle responsabilità individuali sulle minacce, analisi dei profili fino ad arrivare a chi c’è dietro. Come giornalisti smascheriamo anche i mandanti, i finanziatori di questa macchina o bestia che crea bufale e muove centinaia di profili che insultano e minacciano. La Fnsi su questo sarà inflessibile. Inoltre va detto che la rete non è una zona franca, non può considerarsi tale e quindi le regole che valgono nel mondo reale debbono valere anche lì. Non si può pensare che sui social o nel web in generale siano sospesi i diritti né i doveri. Deve essere garantito il rispetto delle norme esistenti nel nostro ordinamento. Dire che la rete non è un porto franco per gli odiatori e per chi minaccia e insulta non c’entra nulla con la libertà di espressione».

Nelle ultime ore in questo circuito dell’odio e delle bufale sui migranti si è inserito dell’altro e di molto velenoso che riguarda proprio la nostra categoria, si parla di Inpgi, di conflitto di interessi, di soldi alla FNSI. Forse è un indizio per comprendere meglio i recentissimi attacchi al sindacato dei giornalisti. Non è che è proprio la FNSI ad essere sgradita?

«È chiaro che questo schema basato sull’odio e sull’aggressione sistematica di qualsiasi diversità va contrastato. Fuori, ma anche dentro la categoria dei giornalisti. È evidente da tempo come una parte minoritaria della categoria abbia solidi collegamenti con la centrale dell’odio e della falsità, forte anche del fatto che chi nella categoria è tenuto ad intervenire ha sempre la testa girata dall’altra parte. Sono quelli che facevano sponda con chi, nel precedente Governo, ha provato ad assestare un colpo mortale al pluralismo dell’informazione, cancellando i contributi proprio alle testate espressione delle differenze, di specifiche realtà territoriali, di comunità religiose e a Radio Radicale. Sono gli stessi che continuano a cercare sponde nel parlamento affinché venga commissariato l’Inpgi. Del resto, è un dato di fatto che, proprio nel corso dell’ultima campagna per il rinnovo dei vertici dell’Inpgi, c’è chi non ha esitato a recarsi dal presidente dell’Inps per cercare sponde sul fronte del commissariamento. Non c’è da stupirsi se chi non riesce ad assumere il controllo degli enti della categoria con il metodo democratico per eccellenza, ossia le elezioni, cerchi di provare a distruggere o a indebolire quegli stessi enti alleandosi con i propalatori di odio seriale. È la strategia del polo del rancore, radicato in una parte dell’attuale minoranza sindacale, che dopo aver straperso il Congresso della FNSI e le elezioni dell’Inpgi, adesso vorrebbe impedire il voto all’Ordine, accampando il pretesto del Covid-19. Una tesi molto singolare, se non proprio ridicola, considerato che le elezioni dell’Ordine cadono nello stesso periodo in cui si voterà per il referendum, per le regionali e per le comunali. Forse, non essendo in grado di elaborare una linea politica e una visione della professione, pensano che la soluzione sia quella di sospendere i processi democratici. Non hanno capito che sarebbe la fine dell’Ordine dei giornalisti. Ma forse è proprio questo che vogliono».

(Pubblicato su Articolo21, il 23/08/2020)

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Cerimonia del Ventaglio, Fnsi: «Da Mattarella riconoscimento del ruolo dell’informazione»

«Le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sul ruolo dell’informazione durante la pandemia rappresentano un importante riconoscimento per tutti i giornalisti che, anche nelle fasi più drammatiche dell’emergenza sanitaria, hanno lavorato con abnegazione e spirito di sacrificio, nell’interesse dell’opinione pubblica. Proprio questo ruolo, ‘opposto alle fabbriche della cattiva informazione’, come ricordato dal capo dello Stato, rafforza la credibilità dell’informazione professionale, le cui regole e le cui carte deontologiche, che tutti i giornalisti sono tenuti a rispettare, sono la migliore garanzia di qualità». Lo affermano Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, segretario generale e presidente della Federazione nazionale della Stampa italiana.

A margine della cerimonia del Ventaglio, i vertici della Fnsi hanno consegnato al presidente Mattarella la carta “Parole non pietre“, contro il linguaggio d’odio e i muri mediatici, e l’appello dei familiari di Italo Toni e Graziella De Palo, i due giornalisti scomparsi in Libano il 2 settembre 1980, affinché si faccia luce sulle circostanze della morte e venga loro assicurata giustizia.

Nel corso della tradizionale cerimonia promossa dall’Associazione stampa parlamentare, il presidente della Repubblica ha ricordato che «il mondo dell’informazione è stato interpellato dal virus e, nonostante le obiettive difficoltà vissute dal settore e dai singoli giornalisti, ha dato prova di saper essere al servizio dell’interesse generale e dei cittadini. L’avere posto al centro i fatti, l’approfondimento scientifico, la ricostruzione del fenomeno, il contributo fornito all’educazione e al senso di responsabilità dei cittadini – ha aggiunto – hanno consentito ai media di svolgere un ruolo di grande rilievo nel contrastare la pandemia».

Il testo integrale dell’intervento del presidente della Repubblica alla cerimonia di consegna del Ventaglio è online sul sito web del Quirinale.

(Fonte: FNSI; foto di copertina: @Quirinale)

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Grandi, Cibio Trento: «Sperimentiamo vaccino su piattaforma innovativa»

Il Centro di Biologia Integrata (CIBIO) dell’Università di Trento opera nell’area delle biotecnologie per la salute umana e svolge il suo programma suddiviso in diversi laboratori di ricerca, guidati da ricercatori indipendenti in quattro diverse aree: Genomica e Biologia del Cancro; Biologia Cellulare e Molecolare; Microbiologia e Biologia Sintetica e Biologia dello Sviluppo e Neurobiologia. Dispone di piattaforme tecnologiche che supportano le attività di ricerca dei laboratori dove vengono eseguite tra le altre ricerche anche quella sul sequenziamento del DNA.

Guido Grandi direttore del CIBIO di Trento

Il direttore vicario del CIBIO è il dottor Guido Grandi laureato in scienze biologiche, professore ordinario presso il Dipartimento di Biologia, Computazionale e Integrata dell’Università di Trento dove insegna Immunologia e Vaccinologia. Fino al 2014 ha ricoperto l’incarico di Senior Project Leader per la multinazionale farmaceutica Novartis Vaccines. Autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche e inventore/co-inventore di oltre 450 brevetti internazionali, il professor Guido Grandi, insieme al professor Massimo Pizzato, virologo del Centro di Biologia Integrata, collabora con la Start-up BiOMViS srl di Siena (dove il figlio, Alberto Grandi è responsabile scientifico) su un progetto mirato a sviluppare un vaccino per il Coronavirus classificato come Sars-Cov2.

Professor Grandi ci descrive come state procedendo nella sperimentazione del vaccino?

«Ad oggi sono più di 150 i gruppi nel mondo che si stanno dedicando alla ricerca di un vaccino per il Sars-Cov-2 e 23 di questi vaccini in corso di sviluppo sono in fase sperimentale sull’uomo. Si parla di fase 1 quando la sperimentazione avviene su un campione limitato di volontari allo scopo di verificare la “sicurezza del vaccino” e al tempo stesso di testarne l’immunogenicità. Nel caso degli studi sull’uomo attualmente in corso per il vaccino contro SARS-CoV-2, per seguire l’immunogenicità si va ad osservare se nei volontari la vaccinazione induce la produzione di anticorpi capaci di riconoscere il virus e di bloccarne l’ingresso nelle cellule. La fase 2 prevede un campione di volontari più ampio dove il disegno dello studio è pensato per rinforzare i dati di sicurezza ma anche per generare i primi dati di efficacia. Quando si passa alla fase 3 la somministrazione sperimentale si espande a molti più soggetti per confermarne l’efficacia su un numero statisticamente più significativo. Se alla fine della fase 3 i dati sono in linea con le aspettative fissate, si passa alla registrazione. Normalmente gli studi clinici sull’uomo richiedono 6-8 anni e pertanto, aggiungendo a questi i tempi necessari alla ricerca/sviluppo e alla registrazione, ne consegue che mettere sul mercato un vaccino richiede dai 10 a 14 anni.

E’ evidente che queste tempistiche non sono compatibili con epidemie quali quella che stiamo sperimentando con SARS-CoV-2. In situazioni di questo genere, le strategie – prosegue il professor Grandi – prevedono di comprimere quanto più possibile i tempi necessari al completamento di ciascuna fase. A questo scopo le fasi 2 e 3 tendono ad essere programmate prima della chiusura della fase che le precede, ed attivarle con la massima rapidità, fatto salva la necessità di garantire elevati standard di sicurezza. Relativamente agli studi di efficacia (Fase 2 e Fase 3) questi normalmente prevedono il reclutamento di due gruppi di volontari, ad uno dei quali viene somministrato il vaccino mentre al secondo del placebo. Quindi si confronta il numero dei casi di infezione che si registrano in entrambi i gruppi in un certo periodo di tempo. E’ evidente che più elevata è l’incidenza dell’infezione minore è la dimensione dei gruppi necessaria ad ottenere dei dati statisticamente significativi. Nel caso di Covid-19, se è vero che il virus può avere un’incidenza molto alta, è altrettanto vero che il numero dei casi può cambiare velocemente nel tempo. Basti pensare all’Italia, paese che ha visto una crescita molto elevata del numero di casi nei mesi di Marzo-Aprile e dove ora le infezioni appaiono molto ridotte. In queste condizioni eseguire studi di efficacia può essere problematico. Per questo motivo, le autorità regolatorie potrebbero decidere di registrare un vaccino anche solo sulla base di “correlati di protezione”.

Nel caso di Covid-19, poiché la presenza di anticorpi capaci di neutralizzare l’ingresso del virus nelle cellule sembra essere sufficiente a impedire l’insorgere dell’infezione (almeno nelle sue manifestazioni più gravi) le autorità regolatorie potrebbero prendere in considerazione la registrazione di un vaccino sulla base del fatto che questi sia in grado di indurre nei vaccinati elevati titoli di anticorpi neutralizzanti, e che abbia dato buone risposte in modelli animali di infezione. Se questa procedura di registrazione avverrà o meno, dipenderà da un’attenta valutazione del rischio-benefico e dall’impatto che la non disponibilità di un vaccino può avere sulla salute pubblica e sul tessuto economico. Al momento, tutte le fasi 2/3 prevedono la valutazione dell’efficacia, con alcuni vaccini che si prefiggono di vedere almeno una riduzione significativa sulle forme severe della malattia, altri che invece mirano a bloccare l’infezione, indipendentemente dalle manifestazioni patologiche. Va infine ricordato un progetto innovativo sostenuto dal WHO (World Health Organization), denominato “Solidarity”.

Nell’ambito di questo progetto, WHO seleziona i vaccini che hanno effettuato la Fase I e coordina studi multi-centrici di Fase 2/3. Così facendo gli sviluppatori di vaccini che aderiscono al progetto, al di là di dover fornire le dosi di vaccino, non devono preoccuparsi dei costi e dell’organizzazione degli studi di efficacia. Al tempo testo il progetto consente di confrontare i vari vaccini tra loro e di selezionare quelli a maggiore potenziale. Infine, essendo lo studio multi-centrico a livello mondiale, sarà possibile stabilire l’efficacia dei vaccini anche su diversi background generico-ambientali delle popolazioni e su diverse varianti del virus circolante.

Relativamente al nostro vaccino in fase di sperimentazione pre-clinica, questi è basato su una piattaforma innovativa che prevede l’uso di vescicole di membrana (OMVs) di Escherichia coli, un batterio completamente innocuo per l’uomo. Tali vescicole sono state ingegnerizzate con porzioni di proteine virali. Quando abbiamo usato le vescicole per immunizzare animali di laboratorio (topi), è stato possibile dimostrare che i topi sviluppavano anticorpi capaci di neutralizzare l’ingresso del virus nelle cellule umane in cultura. La dimostrazione della capacità neutralizzante degli anticorpi è stata possibile grazie alla disponibilità di un saggio “in vitro” messo a punto nei laboratori del professor Pizzato.
Stiamo ora cercando dei partners finanziari/industriali interessati a portare il nostro candidato vaccino sino alle fasi cliniche. Considerando la semplicità e l’economicità del processo di produzione delle OMVs, riteniamo che il nostro vaccino possa rappresentare una valida alternativa, specialmente per i paesi in via di sviluppo».

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Anna Maria Andena: esempio virtuoso della sanità nel territorio di Piacenza. Tremila pazienti curati a domicilio

Oltre tremila pazienti curati a domicilio in tutta la provincia di Piacenza per l’emergenza da coronavirus sette giorni su sette dalle 8 di mattina alle 20 di sera: un esempio virtuoso di come la sanità emiliana sia stata capace di affrontare l’emergenza sanitaria da Sars-Cov-2. È accaduto a Piacenza dove l’Azienda Sanitaria riunisce in un solo assetto organizzativo sia l’ospedale che il territorio di tutta la provincia. I servizi territoriali sono stati attivati grazie all’efficienza dei sistemi integrati di gestione dell’informazione rivolte alla popolazione coordinando i dipartimenti in un’unica realtà operativa. La responsabile di questa gestione che ha permesso di contenere l’infezione da Covid-19 è la dottoressa Anna Maria Andena laureata in Medicina e Chirurgia che dirige il Distretto Azienda Sanitaria Locale di Piacenza (nel suo curriculum figurano anche incarichi svolti: direttore UOC Governo territoriale dell’Azienda sanitaria locale; Produzione cure primarie Asl; Referente aziendale MMG responsabile dei referenti e coordinatori NCP della provincia di Piacenza), ci spiega i risultati raggiunti in tutto il territorio piacentino.

«Il ministero della Sanità, ad inizio del mese di marzo, aveva dato indicazioni alle Regioni di istituire le “Unità speciale di continuità assistenziale (USCA), consapevoli della fase critica in cui ci trovavamo e coscienti della necessità che la medicina generale doveva essere messa nelle condizioni di gestire anche l’attività “ordinaria” della medicina di base, ci siamo subito attivati per garantire ai medici di proseguire senza l’interferenza della chiamata a domicilio. Il 16 marzo la Regione ci ha fornito le linee guida».

Piacenza veniva a trovarsi in una situazione di emergenza sanitaria drammatica con il pronto soccorso dell’ospedale in crisi per i continui ricoveri di malati affetti da polmoniti interstiziali. Era necessario alleggerire la pressione sui reparti ospedalieri.

«Dopo i primi dieci giorni dall’inizio dell’epidemia Piacenza, una provincia al confine, si è dimostrata una diga alla diffusione dell’infezione rispetto ad altre zone dell’Emilia Romagna. Nella nostra città non esiste un’azienda ospedaliera e una territoriale ma è unificata così ho avuto la facoltà di chiedere aiuto al Territorio. Noi abbiamo avuto mille decessi su 290mila abitanti. Era necessario intervenire per rilevare a domicilio il contagio ma anche gestire altre patologie altrimenti trascurate a causa del Covid-19. Grazie alla collaborazione di venti medici e infermieri abbiamo creato sei unità sanitarie da inviare sistematicamente in tutta la provincia dalle 8 di mattina alle 20 di sera, sette giorni su sette. Sono stati ben 3197 gli accessi complessivi. Il Dipartimento delle Cure Primarie ha interpellato i colleghi per selezionarli e creare le squadre di pronto intervento. Abbiamo iniziato gli addestramenti intensivi per chi si era candidato per fornire le necessarie competenze in diagnostica ecografica toracica. Il 16 marzo la Regione ci ha fornito le linee guida che ci hanno permesso di creare le USCA dotate di strumentazioni adatte alla valutazione clinica.

Va detto che il nostro pronto soccorso da anni esegue la diagnostica ecografica -toracica su tutti i pazienti al fine di discriminare le condizioni patologiche anche senza il tampone. Fondamentale si è rilevata la collaborazione – integrazione con i medici curanti di medicina generale per la continuità assistenziale (Piacenza è la sede didattica) che sono stati coinvolti nella programmazione e preparazione di come adottare i dispositivi di protezione individuale e la vestizione con un corso intensivo. Il 23 marzo tutti i pazienti erano stati segnalati dai medici di base e di famiglia e questo ha permesso di alleggerire l’attività delle cure ordinarie da sospetti Covid-19. Le segnalazioni valutavano le condizioni e la sintomatologia le co-morbilità croniche, le terapie in corso (croniche ed acute) che rendevano il paziente a rischio. A domicilio sono stati rilevati i parametri quali la saturazione, temperatura e frequenza cardiaca, eseguite le ecografie toraciche e gli elettrocardiogrammi per diagnosticare e confermare sospetti covid e prescrivere le terapie (prescrizione di farmaci come l’idrossiclorochina in un primo tempo ritirata dall’Aifa e dall’Oms, poi rintrodotta. Lancet aveva pubblicato uno studio che smentiva la sua efficacia contro il coronavirus, per poi ritirarlo. Somministrazione di antivirali, antibiotici, eparina, ndr) e i tamponi».

I risultati si sono visti: meno cure in ospedale e più cure a casa con controlli telefonici a distanza di pochi giorni dalla visita. I medici e gli infermieri di Piacenza si sono dimostrati dei professionisti capaci di lavorare in modo encomiabile, ci spiega la dottoressa Andena: «Si sono alternati senza mai cedere a demotivazioni o lamentandosi, capaci di visitare dalle 60 alle 90 persone al giorno spostandosi dalla pianura alla montagna, percorrendo centinaia di chilometri. È stato deciso di intervenire anche nelle strutture socio assistenziali per gli anziani e disabili, nelle rsa. Dal 23 marzo in poi gli accessi in pronto soccorso per polmoniti interstiziali sono drasticamente ridotti fino a quasi azzerarsi nel corso del mese di maggio.

Analoga attività è stata portata avanti in modo autonomo dal dottor Luigi Cavanna primario di oncoematologia, che insieme all’infermiere Gabriele Cremona, ha eseguito circa 270 accessi su pazienti prevalentemente oncologici per garantire cura e sorveglianza evitando l’accesso in ospedale di questa popolazione di pazienti che hanno una particolare fragilità».

Un merito del totale blocco e isolamento domiciliare della popolazione e della gestione sanitaria?

«Quello che è certo è che questo tipo di diagnostica spinta non è eseguita in nessun’altra parte d’Italia. Il controllo telefonico, l’ossigenoterapia a domicilio, la quotidiana registrazione sui pazienti, l’ossigeno periferico auto misurato, hanno dato ottimi risultati. Ci deve insegnare per il futuro come affrontare il proseguo del tempo cuscinetto, di come dotarsi di strumenti, mezzi e personale e gestire un’emergenza straordinaria. Nel mese di gennaio né l’OMS né l’Istituto superiore di sanità aveva dichiarato l’allarme».

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Il presidente dell’Ordine dei Medici di Trento Marco Ioppi: “è mancata una visione strategica per il Covid-19”

Il dottor Marco Ioppi è il presidente dell’Ordine dei Medici di Trento e ha svolto la sua carriera, prima di andare in pensione, come medico ospedaliero specializzato in ostetricia e ginecologia e endocrinologia all’Ospedale Santa Chiara di Trento e all’Ospedale S. Maria del Carmine di Rovereto con le funzioni di direttore dell’Unità Operativa. La gestione dell’emergenza sanitaria, causata dall’infezione da Covid-19 in Trentino, lo ha profondamente amareggiato. Gli appelli rivolti dal suo Ordine alla Giunta provinciale sono rimasti tutti inascoltati. In Trentino si sono registrati 467 decessi a fronte dei 292 della Provincia di Bolzano ma il dato complessivo dei positivi (per la provincia di Trento) è stato ricalcolato quando ci si è accorti che ne mancavano quasi 400 ( l’errore sta nella comunicazione  da parte della Provincia di Trento alla Protezione Civile di Roma) e questo ha inciso negativamente sull’indice di trasmissibilità Rt (la misura della potenziale trasmissibilità della malattia legata alla situazione contingente che sta a significare la misura di quanto accade nel contesto. Il contenimento per ridurre il numero dei contagi.   analisi dei dati sulla diffusione del virus sars cov-2 FBK  

Nella classifica dell’indice Rt stimato il Trentino si poneva al terzo posto fra le regioni italiane con un valore di 0,77: un dato che era stato presentato il 23 maggio scorso a Roma durante il Report redatto dall’Istituto superiore di sanità in collaborazione con la Fondazione Bruno Kessler di Trento a cui era presente  Stefano Merler epidemiologo che lavora presso la FBK, il quale aveva dichiarato che «il corona virus circolava in Lombardia e in altre regioni come il Trentino ben prima del 20 febbraio e non escluderei anche che fosse presente ancor prima del 2020 per trasmissione asintomatica»

Il coronavirus è comparso in Italia già negli ultimi mesi del 2019?

Uno studio dell’Istituto superiore di sanità ha scoperto la presenza del Sars-Cov-2 nelle acque di scarico di Milano e Torino, analizzate su campioni prelevati in precedenza alla scoperta dell’infezione a fine febbraio 2020. Un’analisi retrospettiva simile è stata fatta anche in Spagna nelle acque reflue di Barcellona a metà gennaio dove sono state riscontrate tracce di rna di Sars-Cov2 e in Francia dove era stato diagnosticato il Covid-19 in un paziente a dicembre 2019. L’inquietante interrogativo si fa avanti dopo la denuncia di 110 polmoniti atipiche classificate con «agente non specificato» riscontrate all’Ospedale di Alzano Lombardo Pesenti – Fenaroli tra il mese di novembre dell’anno scorso e febbraio 2020.

Anche all’Ospedale di Piacenza era stato segnalato un aumento anomalo di polmoniti (vicino c’è Codogno dove era stato rilevato il primo caso ufficiale conclamato: il paziente 1, Mattia Maestri, ricoverato all’Ospedale di Codogno e diagnosticato da Annamaria Malara, anestesista che è stata insignita dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella del titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica). Esiste anche uno studio condotto dall’Università di Milano che verrà pubblicato sul “Journal of Medical Virology” e inviato anche all’OMS, in cui verrebbe confermata la presenza dell’epidemia in Italia tra ottobre e novembre del 2019. diffusione del covid-19 in Lombardia

«Dall’inizio della comparsa del Sars Cov 2 nella nostra Provincia, come Ordine dei medici – ci spiega il dottor Ioppi – abbiamo inviato otto lettere protocollate al presidente della Giunta Maurizio Fugatti e all’assessore alla salute Stefania Segnana, con l’intento di segnalare situazioni da correggere, da migliorare, cosciente del dovere di essere il più oggettivi possibile e offrendo contributi che ci vengono dall’esperienza e dalla competenza. Quello che abbiamo visto è la superficialità delle scelte compiute per decisione da parte della Giunta provinciale nell’ affidarsi a persone fedeli allineate e non ad esperti competenti, le quali potevano mettere in evidenza delle situazioni scelte non funzionali e non idonee al benessere e alla salute della popolazione. La nostra Provincia è piccola e non è sottoposta ai flussi elevati come in Lombardia dove l’inquinamento è stato chiamato in causa per aver aggravato la diffusione del Covid-19 e la densità di popolazione così alta ha permesso al virus di circolare velocemente. Il Trentino è risultato terzo per mortalità dopo la Lombardia e il Piemonte. covid19 Trentino

Ci dobbiamo chiedere allora dove abbiamo sbagliato e sarebbe grave la decisione di archiviare quanto è accaduto dimenticando gli errori commessi. I decessi che abbiamo registrato nelle residenze socio assistenziali è un dato che pesa. Questo ci deve indurre a farci riflettere per creare una mentalità in grado di insegnare per il futuro a gestire diversamente. L’aver trattenuto gli ospiti affetti dal Covid-19 nelle strutture residenziali ha determinato molti decessi. I dati della diffusione del contagio sono stati analizzati insufficientemente e l’Ordine dei medici ha cercato di stimolare una massa critica utile a favorire una maggiore difesa e prevenzione anche per il domani nel caso dovessimo gestire una nuova emergenza.

Ad inizio del mese di marzo – prosegue Marco Ioppi – abbiamo segnalato la gravità di quanto accadeva nelle regioni limitrofe (Veneto e Lombardia dove erano state istituite già delle “zone rosse”) in considerazione del fatto che in Trentino si stava sottovalutando come se nulla potesse accadere e il Covid-19 non ci fosse. Chiedevamo altre misure restringenti avendo 15 giorni di vantaggio rispetto ad altre regioni».

Misure che all’inizio non sono state ritenute necessarie. Anche l’ex direttore generale dell’Azienda provinciale servizi sanitari, il dottor Paolo Bordon (dopo le sue dimissioni è stato nominato direttore dell’Azienda sanitaria di Bologna) aveva segnalato (in riferimento alla mancata chiusura degli impianti sciistici avvenuta solo dopo il 9 marzo per decisione del governo) che «i turisti e sciatori provenienti dalle regioni limitrofe come quella della Lombardia hanno contribuito a diffondere il contagio tra i residenti che lavoravano sulle piste da sci».

Nelle cinque zone sciistiche del Trentino in cui sono stati riscontrati maggiori contagi da Covid-19, l’infezione ha colpito una persona su quattro corrispondente al 23 per cento della popolazione (studio pubblicato dall’Istituto superiore di sanità in cui si evidenziano le percentuali di positività: “27,73 per cento a Canazei; 24,7 per cento a Campitello di Fassa; 23,61 per cento a Vermiglio; 20,97 per cento a Borgo Chiese, 17,81 per cento Pieve di Bono-Prezzo”

Intanto dalla vicina Austria arriva la notizia di un nuovo focolaio che si è diffuso a Lienz dove sono stati riscontrati 175 contagi tra la popolazione e 1400 sono le persone sottoposte alla quarantena. In Italia ad oggi si registrano dieci focolai anche se la situazione è contenuta per via che l’indice di contagio è sotto lo zero, eccetto per il Lazio salito a 1. I contagi sono avvenuti a Mondragone in Campania; a Palmi e Porto Empedocle in Sicilia; a Roma (Ospedale San Raffaele, Garbatella e in un istituto religioso); in provincia di Prato e Pistoia; a Bologna sono risultate 64 i casi positivi avvenuti nell’azienda Bartolini, di cui 47 sono dipendenti interni. A Bolzano è sotto osservazione in quarantena una famiglia di 11 persone; altri contagi si registrano nelle città di Como e Alessandria.  Vicenza dove un nuovo cluster (focolaio) ha riportato il Veneto al rischio elevato di 1,63 con 5 nuovi positivi e 89 persone in isolamento, questo perché un uomo tornato dalla Bosnia ha rifiutato il ricovero in ospedale dopo essere stato visitato e risultato positivo al tampone.  Le successive frequentazioni sociali hanno determinato un espandersi del contagio. «Una situazione preoccupante che se peggiorasse ulteriormente dovrà essere gestita con una nuova fase di chiusura – ha spiegato il virologo Andrea Crisanti – perché i contagi attuali non vanno sottovalutati».

Cosa sappiamo e cosa no di Covid-19?

«La pandemia ha messo in evidenza un sistema sanitario nazionale con delle fragilità evidenti! – aggiunge il presidente Ioppi – causa il risultato dei tagli sulle risorse destinate alla sanità, basti vedere come hanno fatto in Lombardia destinando i finanziamenti alla medicina privata, a differenza del Veneto che ha mantenuto maggiori investimenti su quella pubblica. L’organizzazione in questa regione, eccetto il policlinico universitario di Padova e Borgo Roma a Verona che sono amministrazioni a sé stanti, tutte le altre direzioni sanitarie sono unite: sia quelle ospedaliere che territoriali. Anche Trento un tempo aveva un solo direttore sanitario responsabile  ospedaliero  e per il territorio, scelta poi modificata per nominarne due. Il budget sulla sanità trentina considerato come una legge di spesa ha pesato sulla decisione di tagliare 300 posti tra i sanitari, riducendo il numero di medici e infermieri, oltre ad aver smantellato il laboratorio di virologia.

La medicina viene considerata una risposta ai bisogni individuali della persona e di fatto trascura temi come l’igiene pubblica, le infezioni. I laboratori erano sguarniti di materiali diagnostici come i tamponi, i magazzini vuoti senza le scorte di reagenti e il poco personale a disposizione per effettuare i test. Eppure esiste un piano nazionale per contrastare le pandemie del 2016 che non è stato applicato. L’Italia è al cinquantunesimo posto per la capacità di risposta alle pandemie e la sanità pubblica si occupa solo delle vaccinazioni anti influenzali. Qui chiamo in causa anche la componente medica che dovrebbe essere più presente e partecipe nei confronti della politica sanitaria, dimostrando la volontà di ribellarsi e di protestare per far capire al decisore politico quando prende dei provvedimenti in materia di salute, se li ritiene inadeguati».

In Lombardia la protesta dei medici si è fatta sentire con l’accusa rivolta alla gestione sanitaria del presidente Attilio Fontana e dell’assessore al welfare Giulio Gallera. I dirigenti medici delle 8 “Agenzie di tutela della salute” lombarde hanno criticato la mancata comunicazione all’inizio per effettuare i tamponi, il tracciamento, l’isolamento dei positivi e sulla quarantena. La mancata creazione delle zone rosse in provincia di Bergamo. Sono 171 i medici di base che hanno pagato con la loro vita a causa del coronavirus e il loro sacrificio non sarà riconosciuto: le assicurazioni private non verseranno nessun risarcimento non riconoscendo il contagio come infortunio sul lavoro. Luca Fusco presidente del Comitato “Noi denunceremo verità e giustizia per le vittime Covid-19” ha inviato una lettera al Fatto Quotidiano in cui scrive: «Non posso non sottolineare la profonda tristezza e amarezza provate: tristezza per il ricordo di mio padre e di tutti i defunti; amarezza per aver avvertito, ancora una volta, la lontananza e la sordità delle istituzioni, le uniche a cui è stato consentito di partecipare. Il protocollo non ha permesso che presenziassero alla cerimonia i parenti delle vittime; è stato demandato a me in veste di presidente del Comitato il compito di rappresentarli. Avevamo chiesto la presenza di un numero superiore in rappresentanza di 60mila iscritti al gruppo Facebook». Luca Fusco spiega nella sua accorata lettera densa di dolore che «ho chiarito agli organizzatori che non avrei in nessun modo condiviso alcuno spazio fisico con il presidente della Regione. Mi auguravo che il presidente (Fontana, ndr) potesse cogliere l’occasione per sentire il dolore di Bergamo, e speravo che, davanti al cimitero divenuto il simbolo di un’ecatombe, prendesse coscienza del nostro dolore chiedendo pubblicamente scusa a noi cittadini». Sulla pagina Facebook del presidente Fontana è leggibile un lungo post in cui si autoassolve completamente da tutte le accuse a lui rivolte e si dichiara sereno per come ha gestito l’emergenza sanitaria.

«La provincia di Trento nel 2019 ha previsto un piano di efficientamento che prevedeva 120 milioni di taglia sulla sanità e gli ospedali disponevano di pochi posti in terapia intensiva. Si prevedono 78 posti per non trovarsi più impreparati ma non si capisce come farli funzionare se manca il personale. L’emergenza sanitaria ha dimostrato quanto gli operatori sanitari si siano fatti in quattro per sopperire alle carenze – spiega ancora Marco Ioppi – e il piano di riorganizzazione con la promessa di ricevere i finanziamenti da parte del governo e con gli stanziamenti decisi dalla Comunità europea verrà attuato chissà quando. Oltre ad una scelta straordinaria è venuta a mancare anche una visione strategica. È stata depotenziata la medicina del territorio a causa di una concezione frutto di una pochezza da parte della politica sanitaria suddivisa in tante piccole realtà. Nelle lettere inviate alla Giunta provinciale si chiedeva un maggiore utilizzo di tamponi da effettuare al personale sanitario che poteva contagiarsi e diffondere il virus. Queste lettere sono state firmate anche dai presidenti di tutti gli ordini professionali sanitari come gli infermieri, i tecnici di laboratorio, gli psicologi, i farmacisti, i biologi.

Anche le associazioni dei malati hanno inviato un documento alla Consulta provinciale della salute, dove si chiede il tracciamento del virus e di farsi trovare pronti in autunno con la vaccinazione antinfluenzale. La componente sanitaria si rivela in sofferenza per una tragedia umana sul piano solidaristico etico comportamentale. Tutti gli operatori sanitari hanno cercato di dare sollievo ai malati che erano privati dei loro cari e non hanno potuto avere il loro conforto e concordare le cure con i loro famigliari. Si è persa l’occasione di fidelizzare gli operatori sanitari». L’articolo 32 della Costituzione recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.

Nel frattempo l’OMS lancia l’allarme di una prossima pandemia che dovrebbe colpire in autunno: Ranieri Guerra (il rappresentante italiano nell’Organizzazione mondiale della sanità e membro del comitato tecnico scientifica del governo) ha dichiarato che «la seconda ondata di Covid-19 potrebbe essere peggiore di quella della febbre spagnola del 1919», insultando pesantemente il collega virologo Massimo Clementi dopo che quest’ultimo aveva criticato tale affermazione. Il consiglio di non creare falsi allarmismi arriva da un’autorevole esperto: Carlo Federico Perno professore ordinario di Microbiologia e virologia dell’Università di Milano e dirigente del Dipartimento di medicina di laboratorio dell‘Ospedale Niguarda: «Sul Covid-19 sento affermare dei pareri inesatti anche da parte degli esperti scientifici quando qualcuno lo paragona ad una semplice influenza e altri lo paragonano alla febbre spagnola. Non siamo ancora in grado di capire l’evoluzione del coronavirus e dobbiamo andare cauti con le previsioni».

RADIO3-SCIENZA-Carlo Federico Perno

fonte. www.articolo21.org

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Papa Francesco: ‘Abbiamo bisogno di media capaci di costruire ponti e abbattere i muri’

«L’esperienza di questi mesi ha dimostrato quanto sia essenziale la missione dei mezzi di informazione per tenere unite le persone, accorciando le distanze, aprendo le menti e i cuori alla verità», rileva il Pontefice nel messaggio ai membri della Catholic Press Association in occasione della Catholic Media Conference.

«L’esperienza di questi ultimi mesi ha dimostrato quanto sia essenziale la missione dei media per tenere unite le persone, accorciando le distanze, fornendo le informazioni necessarie e aprendo le menti e i cuori alla verità». Lo afferma papa Francesco nel messaggio inviato ai membri della Catholic Press Association in occasione della “Catholic Media Conference”, in programma dal 30 giugno al 2 luglio 2020 sul tema “Together While Apart”.

«Quest’anno, per la prima volta nella storia, l’Associazione della stampa cattolica terrà la sua annuale conferenza in modalità virtuale, a causa dell’attuale situazione sanitaria», spiega il Papa. «Permettetemi innanzitutto – prosegue – di esprimere la mia vicinanza a quanti sono stati colpiti dal virus e a quanti, anche a rischio della propria vita, si sono prodigati e continuano a impegnarsi per assistere i nostri fratelli e sorelle nel momento del bisogno».

Papa Francesco, foto vaticannews.va


Il tema scelto per la Conferenza di quest’anno, “Together While Apart”, osserva il Pontefice, «esprime in modo eloquente il senso di unione emerso, paradossalmente, dall’esperienza della distanza sociale imposta dalla pandemia».

Nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali dello scorso anno, sottolinea ancora Francesco, «riflettevo su come la comunicazione ci permette di essere, come dice San Paolo, ‘membra gli uni degli altri’ chiamati a vivere in comunione all’interno di una rete di relazioni in continua espansione. Una verità che, a causa della pandemia, tutti noi abbiamo apprezzato più pienamente».

E ancora: «’E pluribus unum’, l’ideale dell’unità in mezzo alla diversità, nel motto degli Stati Uniti, deve ispirare anche il servizio che offrite al bene comune», evidenzia papa Francesco nel messaggio.

«Questo bisogno – osserva – è ancora più urgente oggi, in un’epoca caratterizzata da conflitti e polarizzazioni da cui non sembra essere immune neppure la comunità cattolica. Abbiamo bisogno di media capaci di costruire ponti, difendere la vita e abbattere i muri, visibili e invisibili, che impediscono il dialogo sincero e la vera comunicazione tra le persone e le comunità. Abbiamo bisogno di media che possano aiutare le persone, soprattutto i giovani, a distinguere il bene dal male, ad elaborare giudizi corretti, basati su una presentazione dei fatti chiara ed imparziale, a comprendere l’importanza di impegnarsi per la giustizia, la concordia sociale e il rispetto della casa comune. Abbiamo bisogno – conclude il Papa –di uomini e donne di principio che proteggano la comunicazione da tutto ciò che la potrebbe distorcere o piegare ad altri scopi».

(Fonte: FNSI; immagine di copertina: Gabriel Andrés Trujillo Escobedo – Wikipedia)

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Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella onora le vittime del coronavirus a Bergamo

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha partecipato nella serata di domenica 28 giugno alla commemorazione solenne per le vittime del coronavirus a Bergamo, dove al Cimitero monumentale è stata eseguita la Messa da Requiem di Gaetano Doninzetti eseguita dall’Orchestra e dal Coro del Doninzetti Opera Festival diretti da Riccardo Frizza, anticipata dalla lettura dell’Addio ai monti dai Promessi sposi di Alessandro Manzoni da parte del direttore artistico del Festival Francesco Micheli. Il cast era composto da Eleonora Buratto (soprano), Annalisa Stroppa (mezzosoprano), Piero Pretti (tenore), Alex Esposito (basso), Federico Benetti (basso); maestro del Coro Fabio Tartari. Il concerto è stato trasmesso in diretta su Rai 1 e si può rivedere su Ray Play.

Solo a Bergamo e provincia le persono decedute per il Covid-19 sono state oltre seimila e lo stesso capo dello Stato nel suo intervento dopo aver deposto una corona ha sollecitato l’impegno di «riflettere seriamente sugli errori da evitare di ripetere. Qui l’Italia che ha sofferto e che è stata ferita e che ha pianto. La mia partecipazione vuole testimoniare la vicinanza della Repubblica ai cittadini di questa terra così duramente colpita. Bergamo, oggi, rappresenta l’intera Italia, il cuore della Repubblica». Nelle sue parole traspariva il monito di non limitarsi a ricordare le vittime ma «assumere piena consapevolezza di quel che è accaduto. Senza cedere alla tentazione illusoria di mettere tra parentesi questi mesi drammatici per riprendere come prima».

crediti foto Quirinale

Un intervento significativo, quello di Mattarella, a riprova della necessità di non smettere di interrogarsi: «su ciò che non ha funzionato, sulle carenze di sistema, sugli errori da evitare di ripetere». Dal piazzale antistante il Cimitero pochi mesi fa partivano i camion dell’Esercito Italiano con le bare che venivano inviate in altre città per essere cremate. Un luogo diventato simbolo di una tragedia che ha lasciato sgomenti chi vedeva le immagini in televisione. Mattarella ha voluto essere vicino alla popolazione di questa città ascoltando in piedi l’Inno di Mameli e con lui i 243 sindaci provenienti da tutta la provincia (eccetto il sindaco del Comune di Ambivere Silvano Donadoni che di professione è medico, in segno di protesta per la mancata gestione da parte della Regione Lombardia sia in fase di emergenza inizio pandemia che ora). Accanto al Presidente della Repubblica c’era anche il sindaco di Bergamo Giorgio Gori e il presidente della Regione Attilio Fontana il quale sostiene ancora oggi di non aver commesso errori nella gestione sanitaria e di non ritenersi responsabile di quanto accaduto sia per la mancata decisione di istituire le zone rosse (nel bergamasco) e per i trasferimenti di malati nelle rsa di Milano e provincia.

crediti foto Quirinale

È in corso un’inchiesta della Procura della Repubblica di Bergamo con l’ipotesi di reato per epidemia colposa che si avvale della consulenza del direttore del laboratorio di Microbiologia e virologia dell’Università di Padova, Andrea Crisanti. La sua gestione in Veneto per contenere la diffusione del virus ha permesso di isolare i focolai e individuare i contagi sottoponendo la popolazione al test del tampone. L’esecuzione della Messa da Requiem a Bergamo è stata trasmesso in diretta anche dal sito del corriere.it dove gli italiani, ancora una volta, dimostrano di essere un popolo che non rinuncia nemmeno in un’occasione così solenne di insultare e scrivere nei commenti (visibili in concomitanza dell’esecuzione musicale) parole offensive rivolte a chiunque chiedesse rispetto per i defunti.

Ascoltare la musica e dover leggere (per dovere di cronaca) simili frasi è la riprova di quanto sia nocivo permettere di commentare liberamente senza che le testate giornalistiche del web impediscano di fatto tale scempio del rispetto per chi ha sofferto. Una buona notizia viene da Cremona dove il giovane Mattia Guarnieri di soli 18 anni che era stato ricoverato e intubato per aver contratto il coronavirus, dopo le dimissioni dall’ospedale ha potuto diplomarsi e conseguire la maturità. Mattia era stato dimesso lo scorso 16 aprile dopo la lunga degenza in terapia intensiva e prima di essere sedato aveva inviato un messaggio alla madre in cui prometteva di non abbandonarla.

crediti foto Quirinale

Di altra natura, invece, la notizia che arriva da Arezzo di un gatto che dopo aver morsicato la proprietaria è morto. Dalle analisi è risultato affetto dal Lyssavirus (virus isolato in una specie di pipistrello), ma in tutte le testate giornalistiche è riportata una dichiarazione pervenuta dalla Regione Toscana nella quale si spiega che il “Lyssavirus era stato rinvenuto una sola volta, a livello mondiale, in un pipistrello del Caucaso nel 2002, senza che ne fosse mai stata confermata la capacità di infettare animali domestici o l’uomo. Attualmente secondo il ministero della Salute non ci sono evidenze di trasmissione da animale a uomo”.

Tale affermazione non corrisponde alla realtà in quanto la scoperta del Lyssavirus risale al 1996:il lyssavirus dei pipistrelli australiano compare nel 1996 con due focolai sulla costa del Queensland (ABLV) e ha proprio questi animali come ospiti serbatoio”,(Spillover di David Quammen, edizioni Gli Adelphi, pag. 322, 326, 379. L’autore è una delle firme più qualificate e prestigiose del “National Geographic” e vincitore per tre volte del National Magazine Award. Nelle oltre 600 pagine documenta tutte le ricerche scientifiche che sono state condotte per analizzare il salto dei virus da animale all’uomo (chiamato spillover) , tra i quali vengono descritti anche quelli partiti dai pipistrelli.

pubblicato su www.articolo21.org

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‘Journalism Is Not A Crime’, petizione di Articolo21 per dire no al carcere per i giornalisti

Il 9 giugno la Corte Costituzionale si esprimerà sulla legittimità della pena detentiva per chi commette il reato di diffamazione. «Una battaglia storica della Fnsi», ricorda in un editoriale il segretario generale Lorusso, primo firmatario con il presidente Giulietti dell’appello promosso dall’associazione.

Il 9 giugno la Corte Costituzionale si esprimerà sulla legittimità del carcere per i giornalisti, attualmente previsto nel codice penale e dalla legge sulla stampa per chi commette il reato di diffamazione a mezzo stampa. Per dire no al carcere per i giornalisti, l’associazione Articolo21 ha promosso l’appello #JournalismIsNotACrime e una raccolta di firme i cui primi firmatari sono Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, segretario generale e presidente della Federazione nazionale della Stampa italiana (qui il link diretto alla petizione). Il disegno della campagna #JournalismIsNotACrime è dell’artista e graphic journalist Gianluca Costantini.

Dopo alcune importanti aperture di esponenti del governo nel senso di un accoglimento anche in Italia dei principi più volte ribaditi nelle sentenze della Corte europea dei diritti umani – che ha riconosciuto tanto il carcere quanto sanzioni economiche spropositate come veri e propri ‘bavagli’ ai giornalisti –, in un editoriale pubblicato anche sul articolo21.org, il segretario generale della Fnsi ricorda come la battaglia per l’abolizione della previsione del carcere per i giornalisti è una «battaglia storica» del sindacato, inserita fin «nell’atto costitutivo della Fnsi» risalente al 1908.

Per firmare l’appello e aderire alla mobilitazione basta inviare una mail a redazione@articolo21.info.

Il logo della campagna ‘Journalism Is Not A Crime’ è stato realizzato da Gianluca Costantini per Articolo21.

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No al carcere per i giornalisti: battaglia della Fnsi dall’atto costitutivo

  • di Raffaele Lorusso, segretario generale FNSI

Non è ancora tempo di cantare vittoria. L’impegno del governo a cancellare il carcere per i giornalisti, ribadito dai sottosegretari all’editoria e alla giustizia, Andrea Martella e Vittorio Ferraresi, rappresenta un importante elemento di novità. Di qui ad affermare che il risultato è stato raggiunto, però, ce ne passa. Di certo, è a portata di mano. Anche perché, a incalzare il parlamento potrebbe essere la Corte Costituzionale. I giudici della Consulta, com’è noto, il prossimo 9 giugno si pronunceranno sull’eccezione di incostituzionalità dell’articolo 595 del codice penale e dell’articolo 13 della legge sulla stampa, la numero 47 del 48. Entrambe le norme prevedono la pena detentiva per il giornalista che commette il reato di diffamazione a mezzo stampa.

Quale sarà la decisione della Corte Costituzionale – rigetto della questione o accoglimento oppure sentenza interlocutoria con rinvio alle Camere che se ne stanno occupando – diventerà fondamentale il lavoro del Parlamento. Nelle numerose interlocuzioni avviate dalla Fnsi, da sempre in prima linea per la cancellazione del carcere per i giornalisti, governo e forze politiche hanno ribadito la volontà di approvare la proposta di legge sulla cancellazione del carcere insieme con quella, distinta ma collegata, sul contrasto alle querele bavaglio. Quest’ultima, presentata dal senatore Primo Di Nicola, ha già ottenuto il via libera della commissione giustizia del Senato. Per quella sulla diffamazione, che introduce anche nuovi criteri sull’obbligo di rettifica, l’ok dovrebbe arrivare a breve.

Restano da sciogliere alcuni nodi sostanziali. A cominciare dal rischio, tutt’altro che remoto, che la cancellazione del carcere si trasformi in una sorta di resa dei conti con i giornalisti. La voglia di sostituire la pena detentiva con pesanti sanzioni pecuniarie è diffusa trasversalmente fra le forze politiche. Non è una novità, visto che anche nelle passate legislature i disegni di legge di riforma si sono infranti proprio su questo scoglio. Se dovesse prevalere la linea dura, ossia multe salate al posto del carcere, si aprirà un altro caso Italia dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’Uomo. I giudici di Strasburgo, infatti, considerano le pene pecuniarie di una certa entità alla stessa stregua del carcere. Ossia una forma di dissuasione per il giornalista. Il rischio di condanna a pagare una somma elevata in caso di diffamazione rappresenta di fatto una compressione della libertà di espressione e del diritto di cronaca.
L’auspicio, allora, è che il legislatore italiano sia riformista fino in fondo e accolga le raccomandazioni della Corte europea. Il carcere può essere sicuramente sostituito da sanzioni pecuniarie. A condizione, però, che venga previsto un minimo e un massimo (comunque contenuti) e che, in caso di condanna, venga data al giudice la possibilità di tener conto delle condizioni economiche del giornalista, delle dimensioni dell’impresa e della diffusione del giornale. In caso contrario, sarà impossibile per l’Italia sottrarsi alle censure dei giudici europei.

Il sindacato dei giornalisti ha portato questi elementi all’attenzione del governo e dei parlamentari che stanno discutendo la proposta di legge in commissione. Se fossero accolti, sarebbe una chiara inversione di tendenza. Un fatto di portata storica, considerato che la cancellazione del carcere per i giornalisti era nell’atto costitutivo della Fnsi. Che – va ricordato a beneficio di chi non conosce la storia o non vuole studiarla – risale al 1908.

(Fonte: Articolo21)