in questi mesi di pandemia non si fermano i casi di femminicidio, punta dell’iceberg della violenza contro le donne.
Raccontiamola in modo corretto: basta parlare di raptus! Basta giustificare gli assassini! Basta ai facili moventi come la depressione e la gelosia! Basta far ricadere sulle donne la responsabilità della loro morte!
La grave crisi che sta attraversando il nostro Paese sta mettendo sotto pressione anche la nostra categoria. Ma proprio in un momento complesso come questo dobbiamo dare prova di essere capaci di narrare quanto accade nella consapevolezza della grande responsabilità che abbiamo nei confronti di chi ci legge e ascolta.
Abbiamo elaborato il Manifesto di Venezia, a cui hanno aderito liberamente centinaia di giornaliste e giornalisti, nel tentativo di offrire uno strumento di lavoro utile ad inquadrare in modo corretto il fenomeno. Sappiamo che molte e molti si sforzano di farlo ogni giorno.
Ancora troppo spesso però ci dimentichiamo, scrivendo i nostri articoli o servizi radiofonici e televisivi, che la violenza contro le donne non può essere ridotta a meri fatti di cronaca. Che si tratta di un fenomeno strutturale della nostra società e come tale abbiamo il dovere di raccontarlo: violenza contro le donne in quanto donne, per questo è necessario utilizzare la parola “femminicidio”.
Facciamo appello al senso di responsabilità di ciascuna e ciascuno. L’omicida di Torino – solo l’ultimo di molti esempi – non ha avuto un raptus, lo sterminio che ha compiuto non è nato dal nulla. I dati ci raccontano che il gesto finale di eliminazione della propria compagna, moglie, ex arriva dopo un lungo periodo di violenze e soprusi.
Non rendiamo vittime una seconda volta le donne assassinate, non cadiamo in queste narrazioni tossiche, diamo valore alla nostra libertà di informare.
Il Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti del Trentino-Alto Adige e il sindacato regionale dei Giornalisti FNSI esprimono sconcerto e dissenso rispetto alla delibera firmata in data 02.11 dal Sindaco di Merano Paul Rösch con la quale si affida il ruolo di responsabile dell’Ufficio stampa ad un soggetto non iscritto all’Albo dei Giornalisti e questo in chiara inottemperanza delle disposizioni della Legge n. 150/2000, citata nella medesima delibera.
Desta forte perplessità anche la scarsa trasparenza con la quale si è attivata la procedura di selezione. In assenza di un bando a pubblica evidenza si è preferito interpellare tre soggetti (scelti senza alcun preventivo criterio) due dei quali iscritti all’Albo dei Giornalisti, optando infine per l’offerta economica più vantaggiosa depositata appunto dal candidato non Giornalista del quale, come specificato nella delibera “è stato esaminato il curriculum dal quale emerge una significativa esperienza”, probabilmente però non in ambito giornalistico.
Quanto accaduto a Merano, da molti punti di vista, non ha precedenti a livello nazionale nella Pubblica Amministrazione.
«Un decreto legge consente anche all’Ordine dei Giornalisti di accedere allo strumento del voto elettronico per l’elezione dei Consigli regionali e del Consiglio nazionale (Cnog). Adesso non dovrebbero esserci più ostacoli al voto. Per questo è necessario avviare da subito un percorso trasparente e partecipato che veda il pieno e totale coinvolgimento dei consiglieri nazionali e degli Ordini regionali per l’adozione del regolamento e la scelta della piattaforma». Lo scrivono, in un documento, 22 consiglieri nazionali.
«Il regolamento – prosegue il testo – dovrà garantire tre caratteri fondanti per una partecipazione realmente democratica vale a dire segretezza, libertà e personalità del voto. Non deve essere consentita alcuna manovra che favorisca l’esercizio del voto ad uso e consumo dei “signori delle tessere”. La democrazia non può ridursi a un “click”.
«L’approvazione del regolamento e la scelta di una piattaforma non possono neppure diventare il pretesto per un differimento del voto oltre il 28 gennaio, termine ultimo fissato dal decreto. Per questo chiediamo l’immediata fissazione di un calendario di lavoro per commissioni e consiglio nazionale in grado di rispettare le scadenze fissate. Il regolamento deve essere licenziato entro un mese dal Cnog per poi dare tempo al ministero di esaminarlo.
«Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti non si riunisce da ormai quasi quattro mesi. Il suo ruolo è stato del tutto esautorato. Il luogo della discussione, del confronto e delle decisioni è deserto da oltre cento giorni. In questo periodo il presidente Verna ha assunto una serie di iniziative che sono andate ben al di là della ordinaria amministrazione ed ha preso numerose decisioni senza il mandato del Consiglio nazionale, che non è stato minimamente coinvolto, che è stato scarsamente informato e in ogni caso soltanto a cose fatte. Una gestione verticistica dell’Ordine con il risultato che il presidente e l’esecutivo, che ha visto le dimissioni di quattro dei suoi nove componenti (in totale dissenso rispetto all’intenzione di perseguire il rinvio delle elezioni) decidono ormai per tutti. E’ mancato anche il confronto e il rapporto con la Consulta dei presidenti che in questo periodo è stato del tutto assente.
«Ricordiamo che se si fosse votato in sicurezza, come le circostanze lo permettevano, il 27 settembre e il 4 e 11 ottobre, l’Ordine dei giornalisti avrebbe un nuovo Consiglio nazionale regolarmente eletto, con le nuove cariche istituzionali nel pieno esercizio delle loro funzioni».
Giannetto Baldi Michele Buono Lucio Bussi Cristina Caccia Michela Canova Elisabetta Cosci Guido D’Ubaldo Andrea Ferro Walter Filagrana (Trentino Alto Adige) Dino Frambati Luca Frati Giuseppe Gandolfo Augusto Goio (Trentino Alto Adige) Michele Lorusso Valentino Losito Nadia Monetti Gianni Montesano Giuseppe Murru Maurizio Paglialunga Enrico Romagnoli Gian Maria Sias Maria Zegarelli
L’accordo, che ha validità dal primo novembre 2020, è propedeutico alla sottoscrizione di un contratto collettivo di settore che le parti si sono impegnate a definire entro il 30 giugno 2021, e si è reso necessario per non lasciare senza regolamentazione contrattuale le aziende che applicavano il contratto collettivo Uspi-Fnsi (che ha cessato di produrre ogni effetto il 30 maggio scorso).
«Oggi – commenta Marco Giovannelli, presidente di Anso – è una giornata storica per il mondo dell’editoria digitale. Anso in questi anni si è sempre battuta perché il settore venisse considerato come merita. In questi mesi di crisi tutti hanno potuto vedere l’importante ruolo svolto dall’editoria locale ed iperlocale. Ringraziamo i colleghi della Fisc e della FNSI per avere colmato in tempi brevissimi, nonostante la situazione contingente, il vuoto normativo creatosi dopo la cancellazione del precedente contratto. Viene così garantito un percorso che consentirà ai piccoli editori digitali di far crescere le proprie aziende e l’occupazione».
Per Chiara Genisio, vicepresidente Fisc, «questo accordo costituisce un elemento di certezza in una fase molto difficile per il Paese e soprattutto per il mondo dell’informazione. Un passo importante che offre opportunità, tutela e dignità ai giornalisti che operano nelle testate aderenti alla nostra Federazione. Un traguardo molto significativo per i nostri giornali radicati nel territorio, dal Nord al Sud dell’Italia, che soprattutto in questa fase di emergenza continuano a essere autentici punti di riferimento delle comunità locali».
«Si apre – dice Raffaele Lorusso, segretario generale della Fnsi – una fase di ampia collaborazione con le organizzazioni rappresentative di un settore editoriale che necessita di uno strumento contrattuale adeguato alla dimensione e alle esigenze produttive delle aziende. L’obiettivo è far emergere e favorire l’occupazione giornalistica, riconoscendo diritti e tutele in un quadro di sostenibilità. L’accordo raggiunto è soltanto un primo passo, reso possibile dalla serietà e dal senso di responsabilità di tutti gli interlocutori».
PER APPROFONDIRE Qui, il testo dell’accordo nazionale siglato da Anso, Fisc e FNSI.
Il presidente Fnsi lancia da Bolzano la proposta al governo di promuovere «una grande campagna nazionale sul tema dell’alfabetizzazione digitale che coinvolga Ordine dei giornalisti, Università e parti sociali». Prima del seminario, visita alla scuola media dedicata a Ilaria Alpi.
«Ci sono vere e proprie centrali organizzate di fake news il cui obiettivo è quello delegittimazione autorevolezza e competenza. Si mettono nel mirino le istituzioni pubbliche o chi fa servizio pubblico, come le Università, i giornalisti, i docenti e gli scienziati, per indebolire il principio di rappresentanza. In questo modo si mina l’universalità dei principi mediante l’annullamento dell’intermediazione, così che il capo possa relazionarsi direttamente con la folla». Lo ha detto il presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti, chiudendo a Bolzano il corso di formazione ‘La passione per la verità: come contrastare le fake news‘ organizzato da Libera Università di Bolzano, Ordine e Sindacato dei giornalisti del Trentino Alto Adige, Sindacato giornalisti Veneto, Fnsi e Articolo21.
«Vorrei che partisse da qui una proposta per il governo italiano – ha aggiunto. – Se si parla di digitalizzazione, dobbiamo chiedere che si convochino le parti sociali per parlare anche di alfabetizzazione digitale, allo scopo di far partire una grande campagna nazionale di formazione e informazione che coinvolga Ordine dei giornalisti e Università italiane».
Per il segretario del Sindacato dei giornalisti del Trentino Alto Adige, Rocco Cerone, «giornalisti e docenti universitari hanno il dovere comune di contrastare il fenomeno della diffusione scientifica delle fake news, che rappresentano non solo un attacco alla corretta informazione, ma allo stesso fondamento della nostra democrazia».
E Monica Andolfatto, segretaria del Sindacato giornalisti del Veneto, ha commentato: «Diamo oggi inizio ad un progetto veramente ambizioso, che si propone di contrastare le fabbriche delle false notizie, che cercano di colpire i corpi intermedi come giornalismo e istruzione, creando una nuova rete di competenze sulla base di valori condivisi».
«Ciò che avviene nel nostro Paese riguarda da vicino tutta l’Europa e tutte le democrazie. Chiediamo ai giornalisti italiani di parlare di ciò che sta succedendo in Bielorussia, dove il regime di Lukashenko sta impedendo con la forza alla popolazione di avere un presidente eletto democraticamente, arrestando i professionisti dell’informazione indipendenti e i manifestanti», è l’appello lanciato Ziuziuk.
«Abbiamo il compito di illuminare quello che sta succedendo in Bielorussia e accendere un faro ovunque vi siano a rischio i valori della libertà», la risposta del presidente Giulietti.
Prima dell’inizio del seminario, una delegazione del sindacato ha incontrato la dirigente scolastica della scuola media in lingua italiana “Ilaria Alpi” Sabine Giunta. Nel corso dell’incontro, Giulietti ha ringraziato la dirigente per aver voluto ricordare l’impegno professionale della giornalista del Tg3, assassinata a Mogadiscio nel 1994 assieme al cineoperatore Miran Hrovatin. «Sbaglia chi pensa che una targa sia solo commemorazione, perché porta a delle conseguenze tangibili: ricordare significa seminare. In questa scuola si è iniziato un percorso di educazione civica nel rispetto della nostra Carta costituzionale», ha detto il presidente della Fnsi.
“La libertà di stampa. Dal XVI secolo a oggi” e “La passione per la verità”: due libri che verranno presentati in città diverse e distanti tra di loro ma con un obiettivo in comune: salvaguardarne la sua funzione democratica e indispensabile per garantire una libera e corretta informazione. A Ronchi dei Legionari(Gorizia) il 26 settembre alle 20.30 viene presentato “La libertà di stampa. Dal XVI secolo a oggi” (Il Mulino editore) di Pierluigi Alliotti(giornalista professionista e studioso di storia contemporanea, insegna Storia del giornalismo alla Sapienza Università di Roma), invitato dall’ Associazione culturale Leali delle Notizie che organizza la sesta edizione del Festival del Giornalismo (in programma dal 22 al 26 settembre), in dialogo con Rocco Cerone, segretario del Sindacato regionale dei giornalisti del Trentino Alto Adige, Roberto Rinaldi responsabile del presidio di Articolo 21 per il Trentino Alto Adige e la moderazione di Carlo Muscatello presidente regionale Assostampa del Friuli Venezia Giulia.
Il 28 settembre a Bolzano sarà la volta di “La passione per la verità. Come contrastare le fake news e la manipolazione attraverso internet e social ed arrivare ad una corretta informazione e diffondere un sapere inclusivo”a cura di Laura Nota (Franco Angeli editore). Un corso deontologico promosso dalla Libera Università di Bolzano, Ordine dei giornalisti del Trentino Alto Adige, Sindacato dei Giornalisti del Trentino Alto Adige e del Veneto, FNSI ed Articolo21. I relatori sono Laura Nota delegata dal Rettore dell’Università di Padova per l’inclusione e la disabilità, (docente ordinario al Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata) e Roberto Reale giornalista e scrittore, docente all’Università di Padova al Master in Comunicazione delle Scienze e al Corso di Laurea Magistrale in Strategie di Comunicazione.
“La libertà di stampa: Dal XIV secolo a oggi” di Pierluigi Alliottiracconta la lunga storia della libertà di stampa: un diritto concepito nell’Inghilterra del Seicento come corollario alla libertà di coscienza, proclamato a fine Settecento in Francia dalla Dichiarazione dell’uomo e del cittadino e negli Stati Uniti dal Primo emendamento alla Costituzione. In Italia fu riconosciuto nel 1848 dallo Statuto albertino. Lo scoppio della Grande Guerra e l’avvento dei totalitarismi determinarono una battuta d’arresto nel cammino della libertà di stampa, poi solennemente sancita nel 1948 dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. Ancora oggi, tuttavia, in molti paesi questo diritto fondamentale è negato e i giornalisti sono perseguitati. Nell’introduzione l’autore richiama subito l’importanza del tema citando in più riprese Mario Borsa un giornalista che pur di non rinunciare alla sua indipendenza intellettuale si rifiutò di mettersi al servizio del fascismo e per questo fu arrestato. Corrispondente da Londra del “Secolo” di Milano, firma del “Corriere della Sera” e in seguito corrispondente dall’Italia del quotidiano “The Times”. «La libertà di stampa, che è l’anima e l’animatrice di tutte le libertà, è un problema fondamentale. È bene tornarvi su, pienamente ed elementarmente tanto più che il grosso pubblico – e, purtroppo, non il grosso pubblico soltanto – ha in merito idee inesatte, vaghe e confuse… di un problema che, ridotto nei suoi termini essenziali, è di una trasparente chiarezza e di una grande semplicità».
Con un distinguo fondamentale: «Per esercitare questa sua funzione – la più alta delle sue funzioni – è necessario che la stampa sia libera da ogni compromissione, o peggio, da ogni legame con gli uomini di Governo, Indipendenza dunque: indipendenza assoluta: il che implica nella stampa un grande senso di responsabilità». Oggi questo problema è ancora più stringente e se la libertà della stampa è sempre in pericolo è vero anche che la sua responsabilità non viene sempre esercitata e dimostrata nei confronti dei lettori. Uno di questi, Antonio Perrone, ha scritto alla rubrica Lettere del nuovo quotidiano “Domani” toccando un aspetto fondamentale ma trascurato dai più: «Credo che la libertà di stampa sia troppo spesso data per scontata da noi lettori che su questo tema ci consideriamo soggetti passivi che possono al massimo essere spettatori del panorama mediatico del proprio paese – e riferendosi alla censura da parte di Orbàn in Ungheria – questa storia ci ricorda che non è così: la libertà di stampa non è solo in mano ai giornalisti, ma anche soprattutto, in quello che noi lettori che ogni giorno scegliamo chi ricompensare per averci dato informazioni che ci aiutano a capire il nostro mondo».
Il lettore lancia anche un monito che non può che essere condiviso e sostenuto: «… Trovo ridicola l’idea che informarsi debba essere gratuito, nella nostra economia bisogna avere il coraggio di sostenere i mezzi di informazione che ci permettono di svolgere la nostra cittadinanza attiva nel migliore dei modi». Un diritto – dovere alla base della democrazia secondo chi ha inviato la lettera al quotidiano da pochi giorni nelle edicole. Proseguendo nella lettura de “La libertà di stampa. Dal XVI secolo a oggi”, utile a comprendere quanto sia stata sempre osteggiata la libertà di stampa nei secoli e in tutti gli stati, si si sofferma su quanto scritto nel 2018 dal direttore del Time Edward Felsenthal: «Oggi la democrazia nel mondo affronta la sua più grande crisi da decenni. Le sue basi sono state minate da invettive dall’alto e da tossine dal basso, da nuove tecnologie che alimentano antichi impulsi, da un cocktail di uomini forti e istituzioni indebolite. Dalla Russia a Riad, da Silicon Valley, la manipolazione e l’abuso della verità sono state il filo conduttore di molti dei principali titoli di quest’anno (2018, ndr), una minaccia insidiosa e crescente alla libertà».
Colpisce l’affermazione «… da nuove tecnologie che alimentano antichi impulsi” e in parallelo lo spiega bene anche Rosario Rizzuto,Magnifico rettore dell’Università di Padova nella Premessa che introduce “La passione per la verità” curato da Laura Nota: «… le fake news, intese come manipolazione della realtà, e diffusione di dati e immagini fraudolenti e distorti; un fenomeno capace di agire e a più livelli, così come la ricerca sul tema sta mettendo chiaramente in evidenza. Il rettore le riconduce alla «conseguenza di un’apparente “democratizzazione del sapere”, che rifugge il controllo delle procedure di verifica della scienza sperimentale galileiana, ma sempre più spesso sono strumento manipolativo secondo un disegno strategico coordinato da ideologie di gruppi dominanti. E in questo caso con l’uso delle fake news si arriva ad impattare direttamente e pesantemente i meccanismi di formazione del consenso della società democratica». Da qui l’importanza della ricerca che ha permesso la nascita di una collaborazione preziosa e reciproca tra il mondo della ricerca e quello dell’informazione. Argomento che verrà dibattuto nel corso del dibattito a Bolzano il 28 settembre.
Alliotti nel suo libro indica anche la responsabilità che hanno portato alla perdita di molti posti di lavoro nei giornali e la supremazia di Google e Facebook nel sostituirsi ai giornali per diventare «potenti distributori di notizie e informazione nella storia dell’umanità, rilasciando accidentalmente nel processo un’ondata storica di disinformazione», senza dimenticare un’altra conseguenza deleteria per una corretta e libera informazione, quella delle querele per diffamazione definite anche “temerarie”: un problema da affrontare in sede anche legislativa per fermare una deriva pericolosa che spesso impedisce la divulgazione delle notizie. La censura della stampa è descritta con puntuale descrizione storica dall’autore che cita molti esempi. Nel 1500, ad esempio, i papi e i regnanti di molti paesi si distinsero per impedire alla stampa di fare il loro dovere. Il comunismo in Russia e il fascismo in Italia imponevano un’idea di libertà di stampa funzionale ad esaltare ogni loro azione. Non la pensava così Voltaire nel 1771: «Non può esservi libertà presso gli uomini senza la libertà di spiegare il proprio pensiero», così anche per Rousseau che attribuiva all’opinione pubblica il compito di criticare e giudicare. L’autore spiega anche che «i rivoluzionari francesi erano ostili alla censura preventiva, ma nello stesso tempo contrari a una libertà di stampa illimitata. Dall’America all’Inghilterra la censura si manifesta anche in Italia nel corso dei secoli e i capitoli del libro “Il trionfo”, “L’eclissi” e “la libertà totalitaria” analizzano nel merito quanto sia stata determinante la politica italiana nel reprimere la libertà di stampa. E non deve sorprendere il passaggio dedicato all’esperienza giornalistica di Mussolini dove si vantava di di essere uno strenuo difensore della libertà di stampa.
Nel 1909 come direttore responsabile del giornale “L’Avvenire del Lavoratore” a Trento aveva subito numerosi sequestri da parte delle autorità austriache e la sua reazione di protesta non tardò a farsi sentire, così come nel 1913 alla direzione de “L’Avanti!” per aver scritto contro il governo Giolitti fu sottoposto a processo per poi essere assolto. Una dittatura fascista in cui lo stesso Mussolini smentendo il suo passato di giornalista paladino della libertà di stampa si distinse per abolire il libero pensiero e censurare la stampa. «Nel 1926 fu disciolta la Federazione nazionale della stampa italiana (il sindacato dei giornalisti fondato nel 1908 – scrive Alliotti – e dopo il fallito attentato al duce il 31 ottobre dello stesso anno, la stampa antifascista, già vessata dai sequestri e ridotta ad una condizione d’inferiorità, fu definitivamente messa al bando». E le conseguenze non si fecero attendere: la morte di Giovanni Amendola e Piero Gobetti per le conseguenze delle aggressioni squadristiche e Antonio Gramsci in carcere dopo 11 anni di prigionia. Tutti e tre colpevoli di essere stati giornalisti. L’epurazione di centinaia di giornalisti sgraditi al regime per le loro idee. Un regime “totalitario” in cui il duce esaltò la “stampa più libera del mondo intero è la stampa italiana (…) Il giornalismo italiano è libero perché, nell’ambito delle leggi del regime, può esercitare e le esercita, funzioni di controllo, di critica, di propulsione”. Parole che dimostrano la totale avversione nei confronti di un pensiero critico e svincolato dal potere.
Quanto accade ancora in molti stati come accaduto in Algeria il 15 settembre scorso con la condanna a due anni di reclusione al giornalista Khaled Drareni per aver pubblicato articoli sull’”Hirak”, la rivolta popolare che ha costretto alle dimissioni il presidente Abdelaziz Bouteflika nel 2019. Lo ricorda un ampio reportage dal titolo “Professione Reporter: ma in Algeria costa la galera” di Rachida El Azzouzi pubblicato sul Fatto Quotidiano il 21 settembre: «La condanna di Khaled Drareni per “istigazione a manifestazione non armata” e “minaccia all’integrità del territorio nazionale”, suona dunque oggi come un monito per tutti i giornalisti, che in Algeria lavorano già in condizioni molto difficili: il paese è al 146mo posto su 180 nella classifica per la libertà di stampa nel mondo. Questo è il messaggio delle autorità algerine: o ti metti in riga, al servizio del potere, o finisci in prigione. Il messaggio è rivolto – scrive Khaled Drareni – anche quello della libertà di espressione e delle libertà individuali che vengono violate ogni giorno».
Restando in Algeria l’autore de “La libertà di stampa” ricorda un articolo dello scrittore francese Albert Camus scritto nel 1939 quando ad Algeri lavorava come caporedattore del quotidiano “Le Soir républicain” (pubblicato solo nel 2012) «dove spiegava come un giornalista potesse rimanere libero davanti ad un regime illiberale: Erano quattro a suo dire, le virtù da coltivare: “la lucidità, l’opposizione, l’ironia e l’ostinazione” e “la lucidità” presupponeva la “resistenza agli impulsi dell’odio e al culto della fatalità”, spiegava Camus, sostenendo che un giornalista libero, nel 1939, non disperava e lottava per ciò che credeva vero come se la sua azione potesse influire sul corso degli eventi. “Non pubblica niente che possa istigare all’odio o provocare la disperazione. (…) Non c’è coercizione al mondo che possa indurre una persona con un minimo di rettitudine ad accettare di essere disonesta”. Il pensiero di Camus assume un valore straordinario per la sua attualità specie nel segnalare come dovrebbe agire la stampa in generale: “niente che possa istigare all’odio o provocare la disperazione” è quanto sta accadendo nella nostra società dove i titoli di alcuni giornali fomentano ogni giorno reazioni di intolleranza, discriminazione e diffamazione, esaltate anche dai social che le amplificano. Camus aveva centrato in pieno l’oggetto della questione se già nel 1939 affermava l’importanza nell’accertare l’autenticità di una notizia «ed è a questo che un giornalista libero deve prestare tutta la sua attenzione». Un capitolo intero è dedicato anche al mezzo televisivo diventato negli anni uno strumento in possesso di logiche di spartizione politiche: “La libertà d’antenna” descrive l’evoluzione della televisione a partire dal monopolio della RAI fino all’avvento delle emittenti private con la conseguente liberalizzazione del mercato e la supremazia delle televisioni di Berlusconi con le evidenti ingerenze quando da presidente del Consiglio emise il cosiddetto “editto bulgaro” con l’allontanamento di Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi colpevoli a suo giudizio di “uso criminoso della RAI” nei suoi confronti.
Esemplare la risposta che Enzo Biagi indirizzò a Berlusconi: «Cari telespettatori, questa potrebbe essere l’ultima puntata de Il Fatto (la rubrica curata dal giornalista in televisione, ndr). Dopo 814 trasmissioni, non è il caso di commemorarci. Eventualmente, è meglio essere cacciati per aver detto qualche verità, che restare a prezzo di certi patteggiamenti». Ma la libertà di stampa non è solo a rischio per la censura adottata da chi vuole zittire la voce dei giornalisti e imbavagliarla: il rapporto stillato dal “Comittee to Protect Journalist” di New York che si dedica alla difesa della libertà di stampa, conta che dal 1992 al 2020 i «giornalisti uccisi nel mondo sono oltre 1.900, una cinquantina dei quali nel 2019». Numeri che dimostrano come sia “un mestiere pericoloso” fare il giornalista e a dirlo è l’organizzazione non governativa francese Reporters sans frontières che ricorda anche i 389 giornalisti incarcerati e 57 tenuti in ostaggio. Cifre che vengono riportate nell’ultimo capitolo “ I nemici di oggi” scritto da Alliotti in cui si può capire come queste cifre dimostrino quanto sia grave allo stato attuale la condizione del giornalismo mondiale. Specie in Cina, Turchia, Arabia Saudita (il brutale assassinio di Jamal Khasoggi ne è la prova), in Egitto (dove attualmente oltre ad aver incarcerato numerosi giornalisti è detenuto anche Patrick Zaki lo studente universitario che frequentava una facoltà a Bologna). Il CPJ esamina stato per stato quanti giornalisti sono attualmente in carcere e segnala che nella sola Turchia alla fine del 2019 erano ben 47. L’Italia nella classifica di Reporters sans frontières per quanto riguarda la libertà di stampa è collocata al 43mo posto su 180 nazioni e cita anche i 20 giornalisti sotto scorta per le minacce subite dalla mafia, camorra e gruppi estremisti.
La Federazione nazionale della stampa ha consegnato di recente al vice ministro degli Interni, Matteo Mauri, un dossier contenente tutte le minacce ricevute dai giornalisti nell’ultimo anno per mano del presidente Beppe Giulietti.Si legge ancora nel libro di Pierluigi Alliotti: «Secondo i dati raccolti da Ossigeno per l’informazione, osservatorio patrocinato dalla FNSI e dall’Ordine nazionale dei giornalisti, nel corso del 2019 sono state documentate e rese note 433 intimidazioni o minacce nei confronti di altrettanti giornalisti o blogger italiani, la gran parte delle quali sotto forma di atti violenti (avvertimenti, aggressioni, atteggiamenti) e abuso di denunce e azioni legale. Le cosiddette “querele temerarie” che il Parlamento ha tentato di risolvere senza ottenere finora risultati». Un testo fondamentale per chi crede in una informazione libera svincolata da forme di controllo preventivo e riduttivo che minacci l’Articolo 21 della Costituzione, baluardo della democrazia e ogni giorno minacciato da chi pretenderebbe di non informare correttamente l’opinione pubblica. Pericolo rappresentato sempre più dalle fake news che imperversano non solo sui social, quanto anche sui media: niente è più grave che siano i giornali o gli altri strumenti di comunicazione a diffonderle.
Con l’aggravante spesso, come spiega Raffaele Lorusso,segretario generale della FNSI, nella sua Premessa a “La passione per la verità” quando «il cronista che racconta la verità e illumina periferie oscurate viene sempre più spesso additato come uno spacciatore di fake news, se non come un nemico del popolo. Questo è il grande inganno del presente. C’è un’idea pericolosa che si è diffusa a tutte le latitudini. Quella secondo cui, grazie all’iperconnettività, si possa fare a meno delle competenze (…) perché uno vale uno». È quanto accade all’interno di gruppi che nascono in rete e diffondono in modo del tutto «autoreferenziale false credenze, pregiudizi, paure e odio per tutto ciò che è diverso – prosegue Lorusso – , per questo è necessario che giornalisti e cittadini abbiano a disposizione gli strumenti per imparare e riconoscere le fake news e scoprirne i meccanismi di produzione e diffusione». Il saggio curato da Laura Nota diventa così uno strumento indispensabile per fare chiarezza su come il devastante problema dell’informazione intossicata e mistificata crea un circolo vizioso da cui è difficile sottrarsi. Il libro nasce dalla raccolta delle relazioni che sono state presentate al Convegno “L’informazione oltre gli stereotipi e le fake news per la costruzione di contesti inclusivi” che si è tenuto all’Università di Padova nel 2019 e curato dalla professoressa Nota. Nella prefazione Vincenzo Milanese (docente di Filosofia Morale a Padova) sottolinea il problema del “disordine informativo” e il conseguente caos comunicativo che oggi è alimentato da un’enorme quantità di messaggi” e fa un distinguo tra “informazione” e “comunicazione” dove la prima «ha come obiettivo la conoscenza» e la seconda mira alla «persuasione».
E non manca la segnalazione dell’aggravante rappresentata dalla “disintermediazione” (l’abolizione dei corpi intermedi rappresentati dai media per comunicare direttamente tra soggetti rappresentati dal cliente e il produttore senza mediazione, ndr). Laura Nota firma il capitolo “Dai rapporti manipolativi ai rapporti inclusivi, equi, sostenibili” e tocca il problema delle fake news: «in particolare quelle che sono state intenzionalmente diffuse, rappresentano la punta di un iceberg, una delle diverse forme con le quali si cerca di agire per il proprio tornaconto nel disprezzo di relazioni umane improntate a umanità, equità, giustizia, con l’intento di creare ulteriore vulnerabilità e problemi, favorire discriminazioni, diseguaglianze, arrivando persino a minare la convivenza pacifica e la stessa democrazia». Un giudizio netto e severo quanto veritiero dove le fake news instillano pregiudizi e forme di violenza se pur verbale (nei social è la consuetudine). «Si è assistito a una riduzione progressiva dello spazio dedicato al giornalismo attento, critico, riflessivo e all’aumento dello spazio dedicato a tematiche marginali, superficiali, se non proprio appartenenti a un’agenda scandalistica (McCurdy, 2012)» – citazione che Laura Nota richiama all’attenzione dei lettori e richiama anche i giornalisti al loro ruolo: «Anche i professionisti nell’ambito dell’informazione e della comunicazione dovrebbero imparare ad agire come “sentinelle” dell’inclusione pronte e cooperare sia per individuare forme comunicative discriminanti e manipolative (la manipolazione dell’opinione pubblica altra emergenza da affrontare, ndr), sia per dare vita e buone pratiche informative, comunicative, incentrate su una visione inclusiva e sostenibile della realtà».
La docente universitaria si sofferma anche sul ruolo educativo e formativo auspicabile per chi si occupa di informazione «per far comprendere con alfabetizzazioni economiche, tecnologiche, psicologiche, le minacce del XXI secolo, ma soprattutto di riflettere sulle motivazioni e sulle ragioni umane che ne stanno alla base». Ecco il punto focale che merita sempre più attenzione per contrastare le fake news. Impedire la manipolazione e l’inganno e implementare una cultura capace di riconoscere l’attendibilità di quanto viene comunicato. Paolo Pagliaro nel suo contributo scrive che è necessario «liberarsi dalla dittatura dei social. Liberare i media dalla subalternità al mondo dei social. È cresciuta una generazione di giornalisti indotta a pensare che i social siano lo specchio degli umori correnti. Una fonte di informazione attendibile. È un equivoco alimentato dalla pigrizia, dallo spirito del tempo, forse anche dalla superficialità e dalla fretta». Non va dimenticato l’insorgenza di una forma di narcisismo digitale che si propaga sempre più nel cercare visibilità. Paolo Pagliaro in “Cinque o sei cose che potremmo fare”, segnala quanto sia pericolosa «l’abolizione di ogni filtro professionale, la rinuncia delle verifiche, il rifiuto della famigerata mediazione» responsabile di aver fatto spazio alla «manipolazione, non alla democrazia dell’informazione ma alla dittatura della comunicazione».
Lo rileva anche uno studio del Media Lab di Boston pubblicato su Science, come ricorda Enrico Ferri (giornalista e già vicesegretario della FNSI) in “L’odio riscalda il cuore” (citando Umberto Eco in un suo scritto dedicato, appunto, al tema dell’odio, ndr) dove è stato riscontrato che una falsa notizia abbia il 70/% di possibilità (fonte Twitter) di essere “ritwittata” al posto di una notizia vera. «E più la si smentisce, anche attraverso la pur meritoria attività di “debuking”, più si autoalimenta in rete. Un disorientamento, quello creato dall’irrilevanza della verità che cresce – scrive Ferri – se a lanciare parole d’odio, razziste e omofobe, sono i leader politici o le istituzioni. Che l’immigrazione sia il “regno delle fake news” e della disinformazione è una constatazione pacifica tra gli studiosi dei numerosi enti, a livello globale, che studiano il fenomeno che ha raggiunto l’apice con la scandalo Cambridge Analytica». L’Italia ha un triste primato a riguardo: «considerato uno dei Paesi più disinformati sul tema delle persone con storie di migrazione, come rileva Paolo Pagliaro nel suo “Punto. Fermiamo il declino dell’informazione”. Lo sostiene anche la relazione finale della Commissione parlamentare sulla xenofobia e il razzismo Jo Cox. L’Italia viene classificata come il Paese con il più alto tasso di ignoranza al mondo, sul tema dell’immigrazione».
La stampa italiana in particolare quella vicina alle posizioni della di destra ha una responsabilità non indifferente nel fomentare sentimenti di odio verso chi si ritiene un’invasore o un diverso. Non esiste in Italia una normativa che punisca l’odio per “l’hate speech” diffuso in rete. Enrico Ferri per arginare questa deriva propone di «iniziare dai giovani con l’educazione ai diritti umani, alla libertà di espressione, e al mondo digitale per promuovere iniziative concrete, buone pratiche, percorsi inclusivi, è probabilmente la strada più lunga, ma anche quella che potrà dare risultati stabili nel tempo, strategie di lungo periodo, oltre le logiche emergenziali». Ferri segnala anche l’importanza della Carta di Roma che «raccomanda di segnalare l’origine etnica o religiosa, la nazionalità, solo quando essenziale alla comprensione della notizia, lo spazio assegnato a una notizia deve essere il medesimo, si tratti di italiani oppure non italiani, evitare nei titoli e nelle locandine, il sensazionalismo che possa provocare allarme sociale».
Una raccomandazione disattesa per le troppe violazioni ai principi della Carta e uno degli esempi più eclatanti di questa grave disinformazione è quello accaduto con l’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega dove i giornali hanno diffuso la falsa notizia che attribuiva l’omicidio a dei magrebini senza aver verificato la veridicità della notizia. “Il sonno della ragione genera mostri” è il titolo di un articolo pubblicato sul sito www.articolo21.org in cui si esamina la diffusione via social della notizia falsa ripresa poi dai giornali. «La nazionalità diventa un fatto politico – prosegue Ferri – la “bufala” è rilanciata da quasi tutti i quotidiani e le tv per ore. Il linguista Federico Fallopa segnala come “la Carta di Roma viene spesso disattesa dalle stesse testate che l’hanno sottoscritta”, e l’ex presidente dell’Associazione Carta di Roma, Giovanni Maria Bellu aggiunge: «La Carta non dà consigli ma prescrizioni vincolanti per tutti i giornalisti iscritti all’Ordine, spesso non sono seguiti atti concreti o sanzioni, da parte dell’Ordine nazionale dei giornalisti». Un maggiore rigore per far rispettare un principio cardine della Carta sarebbe auspicabile per non alimentare il clima d’odio che avvelena la convivenza civile e il rispetto per il prossimo.
Il libro che sarà presentato a Bolzano il prossimo 28 settembre con la partecipazione di Giuseppe Giulietti presidente della Federazione nazionale della stampa, Federico Boffa e Francesco Ravazzolo, professori della Libera Università di Bolzano, contiene delle riflessioni mirate a dare un contributo essenziale per chi legge nell’evitare il rischio di non «perdersi nella società della Post Verità, del tutti contro tutti, di una persona sola al comando e di immaginare futuri diversi, incentrati su equità, giustizia sociale, diritti umani, sostenibilità e inclusione», che solo una stampa basata sulla veridicità delle fonti, attenta a non cadere negli stereotipi di una informazione appiattita sul sensazionalismo, potrà avere credibilità nei lettori. Le buone pratiche devono essere perseguite da una stampa che sappia usare le parole con il loro senso appropriato e non come delle “pietre” definizione ripetuta da Giuseppe Giulietti nel suo paragrafo “Le parole non sono pietre”, citando l’articolo 3 della Costituzione: «che meglio simboleggia lo “spirito dei tempi”, della stagione della ricostruzione post – bellica. Al contempo, è anche il più distante, invece, dall’attuale “spirito dei tempi”, segnato fortemente dai venti di un sovranismo che esalta i miasmi del razzismo, dell’esclusione sociale, della negazione delle differenze e delle diversità». Non è un caso che Giulietti citi Orbán il Presidente ungherese responsabile di aver attaccato brutalmente le Convenzioni internazionali sui diritti, limitando la libertà di stampa nel suo Paese. L’analisi di tutte le Carte (da quella di Fiesole, Assisi, Roma, Venezia, Trieste, a quella di Padova, è una precisa e puntuale disamina di come i doveri dei giornalisti, i codici deontologici non vengono rispettati: «Quello che balza immediatamente agli occhi è la contraddizione tra il rigore delle norme e la loro sistematica e quotidiana violazione – scrive il presidente della FNSI – , basterà leggere le relazioni predisposte dalla Carta di Roma in materia di razzismo e discriminazione, per comprendere come, nella pratica quotidiana, tali norme siano aggirate o palesemente disprezzate; basti pensare agli editoriali di Vittorio Feltri, o al linguaggio usato da testate come “La Verità, ma cadute di stile e disprezzo della Carta dei doveri si registrano anche in altre testate e nelle stesse emittenti nazionali pubbliche e private, per non parlare dei blog e dei siti, che, spesso, sfuggono a qualsiasi controllo e sono diventati luoghi dove la Costituzione e i codici, civile e penale, sembrano non avere più diritto di cittadinanza».
Duole dover sottolineare questa affermazione così drammaticamente vera per una categoria che appare smarrita nel mantenere una credibilità indispensabile per poter svolgere il proprio ruolo. Se lo chiedono tutti gli autori contenuti nel volume e la domanda: “Avrà la democrazia gli anticorpi per resistere a ogni disarticolazione autoritaria”, non è retorica, ma svela l’urgenza di rimediare ad una problematica che fa dell’Italia un paese poco credibile e indifendibile da questo punto di vista. Per chi scrive e si è occupato anche di Sars-Cov-2 o Coronavirus in questi mesi di pandemia, si è trovato a confrontarsi con una narrazione giornalistica a volte fuorviante e poco attendibile, sbilanciata sul cercare di fornire risposte pseudoscientifiche al limite del paradossale. Tutto e il contrario di tutto con l’aggravante (in alcuni casi) di aver dato eccessiva importanza a pareri medici che si smentivano quotidianamente tra di loro come se fosse una gara ad arrivare per primi a identificare un virus dalle caratteristiche sconosciute alla scienza.
Non è semplice compendiare due testi così impegnativi quanto utili per chi desidera approfondire le tematiche sopraesposte e si rimanda alla lettura completa de La libertà di stampa e La passione per la verità: non c’è libertà se viene a mancare la verità e l’informazione se ne deve assumere la responsabilità per evitarne la scomparsa.
Alle elezioni del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti spostate al 15 novembre prossimo dall’attuale presidente Carlo Verna, i colleghi che si riconoscono in #ControCorrente Trentino Alto Adige/Südtirol ufficializzano le tre candidature per il rinnovo dei rappresentanti della regione. Lo rende noto un comunicato di #ControCorrente, sottoscritto da un gruppo di colleghi del Trentino Alto Adige/Südtirol.
I candidati sono il giornalista pubblicista Walter Filagrana, 42 anni, che lavora all’ufficio stampa di Confcommercio Trentino, il giornalista professionista Fabrizio Franchi, caposervizio cultura del quotidiano l’Adige, già presidente regionale dell’Ordine dei giornalisti del Trentino Alto Adige/Südtirol; il giornalista professionista Markus Perwanger, caporedattore della Struttura programmi di Rai Südtirol, candidato nel collegio unico nazionale in rappresentanza delle minoranze linguistiche tedesca e slovena.
I giornalisti della regione saranno chiamati a votare i loro rappresentanti domenica 15 novembre: a Trento presso il Grand Hotel Trento (piazza Dante, 20) dalle 10 alle 18; a Bolzano, alla Kolpinghaus, in largo Kolping 3, sempre dalle 10 alle 18.
Il turno di ballottaggio si terrà domenica 22 novembre.
È sconcertante quanto sta accadendo al Senato, nell’imbarazzante silenzio del presidente nazionale dell’Ordine, Carlo Verna. Un emendamento al decreto Agosto – a firma di quattro esponenti di M5S (i campani D’Angelo e Puglia, la siciliana Floridia e il pugliese Dell’Olio,) propone di introdurre una modifica alla Legge Professionale 69/1963 e, nell’attesa, di prorogare per un anno, fino al 25 ottobre del 2021, l’attuale Consiglio nazionale dell’Ordine e gli Ordini regionali. Una proposta di riforma di cui non vi è traccia in alcun dibattito all’interno della categoria e che, evidentemente, è stata suggerita da qualche “manina” che conosce bene i meccanismi dell’Ordine. Inquietano anche il modo e il merito con cui viene affrontata la questione dei comunicatori.
Perché tutto questo silenzio?
L’esistenza di questo emendamento fa chiarezza sui finora inspiegabili tentativi di rinviare le elezioni per il rinnovo dei rappresentanti in seno all’Ordine, fissate fin dallo scorso mese di giugno per l’ultima domenica di settembre e le prime due di ottobre. Tentativi di rinvio che ignorano le indicazioni del Ministero della giustizia, il quale non più tardi di una settimana fa ha ribadito che non vi sono motivi che possano giustificare un rinvio delle date fissate, tantomeno la cosiddetta emergenza Covid-19, considerato che in tutta Italia si voterà anche per Referendum e amministrative.
Le elezioni si devono svolgere regolarmente nelle date in cui 18 Ordini regionali su 20 le hanno convocate, rispettando le scadenze di legge. Qualsiasi rinvio, peraltro privo di motivazione, espone al rischio che la situazione di contagio peggiori e non non sia più possibile votare: cosa che permetterebbe a qualcuno di restare incollato alla poltrona il più possibile. In barba al diritto dei colleghi di scegliere i propri rappresentanti alla scadenza definita dalla normativa.
Giovanni Pascoli a seguito della scomparsa tragica della morte del padre, avvenuta il 10 agosto del 1986, in circostanze rimaste ignote, scrisse la poesia X Agosto dedicandola alla sua memoria. L’ultimo verso recita: «E tu, cielo, dall’alto dei mondi sereni, infinito, immortale, oh! d’un pianto di stelle lo inondi quest’atomo opaco del Male!» Lo possiamo paragonare a ciò che è diventato il nostro paese? Un “atomo opaco del Male” dove la violenza si è insinuata nelle pieghe di una società sempre più a rischio di imbarbarimento. L’odio diffuso assume sempre più una forma esasperata che si manifesta non solo con atti di aggressività fisica, ma anche tramite il linguaggio delle parole scelte per scagliare pensieri di intolleranza, razzismo e supremazia nei confronti di chi è diverso da noi per colore della pelle, provenienza etnica, condizione sociale. Anche di fronte ad azioni criminali e delittuose sembra ergersi una difesa ad oltranza del colpevole e mai della vittima, come se il responsabile di un gesto o di un’azione lesiva nei confronti del prossimo, possa essere giustificato e non certo per legittima difesa.
Il Male che sovrasta ogni forma di pietà e di compassione si sta impossessando sempre più nell’esprimere sentimenti feroci dove è assente qualunque logica e razionalità nel saper discernere tra chi ha procurato violenza e chi, invece, l’ha subita. L’omicidio di Willy è l’ultimo caso di cronaca che l’Italia deve registrare quasi quotidianamente e appare come la plastica dimostrazione delle parole del poeta. Non a caso il Fatto Quotidiano di domenica 13 settembre, nel riportare la descrizione del suo funerale titola:“Addio, piccolo Willy: il feretro della civiltà è accanto alla tua bara“. Un sinistro presagio diventa crudele realtà a cui sembriamo ormai tutti assuefatti e impotenti. Se lo chiede giustamente Enrico Fierro, l’estensore dell’articolo: «Ma la Politica, il mondo culturale e dell’informazione, l’opinione pubblica, hanno capito cosa siamo diventati? Hanno capito che nella bara invisibile abbiamo tumulato la pietà, la compassione, il rispetto della vita umana? Ci vorrebbe un poeta d’altri tempi per sbatterci in faccia quello che rifiutiamo di vedere. L’omologazione, l’obbligo di dover essere tutti uguali nell’illusione». La violenza comunicativa della politica non è esente da una responsabilità per lo meno morale.
Il giornalista sa a chi riferirsi: un poeta contemporaneo nel senso più vasto del termine, che non solo aveva capito ma ne ha pagato tragicamente le conseguenze per essere stato assassinato: «La cultura della sopraffazione, il linguaggio sbrigativo e violento. Un poeta c’era e una cinquantina d’anni fa seppe prevedere cosa saremmo diventati. Pier Paolo Pasolini lo uccisero il giorno dei morti nel 1975, una sera, ad Ostia. A calci , pugni, colpi in testa. Come Willy.» E Willy lo continuano ad uccidere con altrettanta violenza chi usa i social per scaricare o meglio “vomitare” su una vittima inerme e privata della sua vita con l’unica colpa di aver cercato di fermare altra violenza: «Spero che vengano liberati presto, non è giusto che siano in carcere per un delinquente che è arrivato qua sicuramente in modo illegale, anche se mi dispiace per sua madre che percepirà 35 euro in meno al giorno. RIP».
Il nome di chi si firma è di una donna ma dietro il suo profilo è facile che si celi un’identità diversa. Come possa arrivare una mente umana a trarre una conclusione del genere è praticamente impossibile e forse potrebbe diventare materia d’indagine della psicoanalisi nel tentare di trovare quell’”atomo opaco del Male” capace di danni irreversibili anche solo con il disprezzo della vita altrui. Inutile cercare altre spiegazioni come da giorni cercano di scoprire i mass media andando a rovistare nelle vite di chi ha commesso questo efferato delitto. E a chi, sempre sui social, diventati una discarica dei più abietti, aberranti commenti, applaude il martirio subito da Willy, chiamando “eroi” i sospettati aguzzini, solo per aver eliminato una “scimmia”; tocca profondamente nell’animo la risposta della madre Lucia Monteiro nel suo composto e riservato dolore (encomiabile la riservatezza e il rifiuto di rilasciare interviste da parte della famiglia del ragazzo nato in Italia ma di origini capoverdiane): «Mi hanno portato via mio figlio in modo orribile. Gli hanno fatto male, tanto male. Picchiato in maniera selvaggia. Avrà sofferto, chissà quanto. E lui che non poteva fare niente, a terra, indifeso. Lui aveva tanto da vivere. Non cerchiamo vendetta, vogliamo solo giustizia. Crediamo nei giudici e a loro chiediamo di farla. A nessuno, mai, deve capitare in futuro quello che è accaduto».
Gli odiatori seriali da tastiera abbiano la decenza di rispettare un dolore che ha procurato sgomento in tutta Italia e non solo, ammettendo una volta tanto che il loro odio è verso se stessi per l’incapacità di amare e di essere amati. Franco Florisdirettore della rivista “Animazione sociale” nell’intervenire ad un convegno sulla qualità dei servizi alla persona spiegava come «(…) dentro la vita sociale ogni persona ha l’esigenza di riscoprire, lungo le fasi della vita, che legame ci sia tra l’essere io-me e l’essere io-noi. In altre parole, ogni persona ha da riscoprire qual è il cordone ombelicale che lo lega agli altri. Questo è un problema enorme, perché in questo momento ci sono intere fasce non solo di giovani, ma di adulti che non sanno più trovare quale sia quel legame che li unisce agli altri e che permette loro di sentirsi un noi collettivo, prima che un individuo singolo». Willy lo aveva trovato quel legame e qualcuno l’ha spezzato con inaudita ferocia.
«Siamo sconvolti per la morte di Willy, pestato a morte per aver difeso un amico contro la violenza. Il suo volto sorridente resterà come un’icona di amicizia e di solidarietà, che richiama i compiti educativi e formativi della scuola e dell’intera nostra comunità. In coerenza con questi valori occorre spiegare il massimo impegno per contrastare chi pratica una violenza vile e brutale, chi la predica o la eccita nei social». Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, discorso in occasione della cerimonia d’inaugurazione dell’anno scolastico 2020/21 alla scuola “Guido Negri”, di Vò Euganeo
Le elezioni per il rinnovo degli organismi dell’Ordine dei giornalisti sono state fissate per il prossimo ottobre. Tuttavia, tre Ordini regionali – Campania, Lombardia, Piemonte – non hanno proceduto con la convocazione prevista dai termini di legge (legge 69 del 3 febbrario 1963 e D.P.R del 4 febbraio 1965), chiedendo il rinvio per tutelare la salute dei colleghi dal rischio contagio. Al contrario gli altri 17 presidenti regionali, tra cui quello del Trentino Alto Adige/Südtirol, hanno attivato le procedure previste per andare al voto.
Il presidente nazionale Carlo Verna non ha ancora sollecitato i tre presidenti dei Consigli regionali a consentire il regolare svolgimento delle consultazioni. Tale atteggiamento, aggravato dall’approvazione di uno slittamento di 45 giorni della convocazione dei seggi, ha portato martedì scorso alle dimissioni di quattro componenti su nove dell’esecutivo nazionale, fra cui la vice presidente e il segretario.
Oggi il Ministero della Giustizia, a cui Verna ha scritto nei giorni scorsi rilevando criticità di carattere sanitario, ha risposto che le elezioni devono svolgersi secondo le modalità stabilite da norme primarie.
Di seguito riportiamo la nota di #ControCorrente, diffusa nei giorni scorsi, e il documento dei consiglieri del direttivo del Cnog dimissionari
«Non ci sono ragioni valide per rinviare il voto»
«In un momento di grave difficoltà per l’informazione e per la nostra professione, l’Ordine nazionale dei giornalisti deve essere messo in condizioni di piena operatività con il rinnovo degli organi di rappresentanza alla scadenza prevista dalla legge. Come presidenti degli Ordini regionali dei giornalisti riteniamo che vada respinta qualunque ipotesi di slittamento di queste elezioni. Ma c’è chi punta a creare incertezza, cercando senza alcuna valida motivazione di rinviare il voto». È quanto si legge in un documento firmato dai presidenti degli Ordini regionali di Veneto, Toscana, Sardegna, Umbria, Trentino Alto Adige, Liguria, Molise, Puglia, Lazio e Valle d’Aosta e dal coordinatore dei vicepresidenti nazionali. I presidenti degli Ordini regionali dei giornalisti «ritengono – proseguono Gianluca Amadori, Carlo Bartoli, Francesco Birocchi, Roberto Conticelli, Bruno Fracasso, Mauro Keller, Filippo Paganini, Pina Petta, Piero Ricci, Paola Spadari e Tiziano Trevisan – che il presidente nazionale Carlo Verna debba assumere iniziative efficaci, cosa che avrebbe dovuto aver già fatto, per spingere i tre presidenti di Ordini regionali che si stanno opponendo al rispetto della scadenza a dare corso alle procedure per lo svolgimento delle elezioni. Elezioni che lo stesso Verna aveva convocato nei termini previsti dalla legge e che segnano la fine del suo mandato triennale». Diciassette presidenti, aggiungono i firmatari, «hanno deciso di rispettare la legge convocando regolarmente le elezioni. Il rispetto della legge istitutiva dell’Ordine, la scrupolosa osservanza delle regole della democrazia non sono valori negoziabili, tanto più se il rischio è un indebito prolungamento della permanenza negli organi di rappresentanza. Una situazione che costituirebbe una anomalia nel vasto panorama degli ordini professionali. Per mesi, per senso di responsabilità, abbiamo fatto fronte in silenzio a questa incresciosa situazione, ma anche l’ultima decisione assunta – una diffida rivolta al Ministero vigilante – non va nella direzione della chiarezza e dell’assunzione di responsabilità da parte del presidente di fronte agli iscritti. Per questi motivi – concludono – comprendiamo le ragioni dei quattro componenti dell’Esecutivo, tra cui la vicepresidente e il segretario nazionale, che si sono dimessi in dissenso con il presidente nazionale. A loro va la nostra solidarietà». #ControCorrente nazionale, componente di maggioranza Casagit, Inpgi, Fnsi
«I giornalisti italiani hanno diritto di votare, l’Ordine non può negare le elezioni»
Secondo qualcuno in Italia possono votare tutti, ma non i giornalisti. Anzi, a dire il vero, anche i giornalisti potranno votare per il rinnovo delle cariche dell’Ordine nazionale e degli ordini regionali ma solo quando farà comodo ai presidenti dei tre ordini regionali (Campania, Lombardia e Piemonte) che, scommettendo sulla ripresa della pandemia per prolungare sine die il loro incarico, non hanno ancora convocato le elezioni nei loro territori. E non lo hanno fatto giocando di sponda con il presidente nazionale Carlo Verna (appoggiato solo da una parte dell’esecutivo), che non ha voluto assumere iniziative efficaci per garantire la regolare vita democratica dell’Ordine. Comportamenti che si commentano da soli. Mancanza di trasparenza e democrazia che sono sotto gli occhi di tutti, tanto più che altri 17 presidenti di ordini regionali, rispettando la legge, hanno regolarmente convocato le elezioni. #ControCorrente nazionale è al fianco dei colleghi dell’esecutivo dell’Ordine nazionale – Elisabetta Cosci, Guido d’Ubaldo, Andrea Ferro e Nadia Monetti che, con coerenza e responsabilità, mercoledì si sono dimessi in aperto dissenso con il tentativo del presidente Verna di scaricare sul ministero di Grazia e Giustizia una situazione che non è stato in grado di governare. Ed è al fianco dei 17 presidenti regionali, dei consiglieri regionali e nazionali, che si sono schierati dalla parte della legge e che hanno deciso, senza deliranti calcoli di bottega, di dare alla categoria la possibilità di esprimersi alle urne. Il documento presentato dai 4 dimissionari
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