Era inimmaginabile e fuori tempo che un Sindacato europeo nel 2020 si trovasse alle prese con attacchi squadristi la cui identità è così simile a quella di un’epoca di regime che sembrava passata per sempre. Eppure è accaduto alla Federazione Nazionale della Stampa Italiana, in una democrazia dell’Unione europea. Ed è da questo assetto, quasi surreale, che inizia la riflessione di Raffaele Lorusso, il segretario nazionale della FNSI, il sindacato colpito direttamente da una macchina certamente organizzata che ha messo nel mirino il presidente Giuseppe Giulietti e una lunga serie di giornalisti che raccontano l’immigrazione e tutto ciò che ci gira attorno.
«Ci troviamo davanti ad insulti gravi ed è un fenomeno che, purtroppo va avanti da tempo. Lo stiamo analizzando sotto vari profili, intanto quello dell’aggressione vera e propria perché ci sono anche minacce di morte, di violenza fisica e tutto il corollario tipico dello squadrismo che non tollera e attacca ciò che non condivide. Poi – dice Lorusso – stiamo cercando di risalire alla fonte di questo fenomeno. La ‘macchina’ degli insulti ha una matrice o un’ispirazione neofascista e neonazista, ossia riferibile a gruppi che fanno della discriminazione un loro punto di riferimento ideologico. Inoltre c’è l’aspetto che riguarda l’identità di chi insulta e minaccia sul web, molto spesso siamo di fronte ad account o profili che difficilmente sono riconoscibili o riconducibili ad una persona fisica, eppure alimentano la famosa ‘batteria’ che parte con notizie specifiche, quelle sui migranti».
Le minacce a Giuseppe Giulietti, presidente della FNSI, sono l’indicatore che si è superato il segno e che si vuole attaccare un organismo intero, una funzione democratica, in questo caso il sindacato dei giornalisti. Cosa si fa ora, in concreto?
«Come ho detto, stiamo analizzando il fenomeno da tempo e ora lo monitoriamo con maggiore attenzione. L’avvocato Giulio Vasaturo, per conto della Federazione sta raccogliendo tutte le prove per presentare un esposto e procedere all’accertamento delle responsabilità con l’ausilio delle forze investigative e andremo fino in fondo a questa storia perché è gravissimo l’attacco a Beppe Giulietti e alla FNSI, quindi a tutti i giornalisti. Ricordiamo la genesi di questi attacchi: Giulietti, come sempre, ha difeso la professione e la democrazia, ha difeso i colleghi che smascherano le bufale sui migranti e in quest’ultimo periodo ce ne sono state molte. Mi riferisco, per esempio, alla notizia dei cani mangiati dai migranti a Lampedusa, che, oltre ad essere una palese bufala, è stata anche una storia capace di creare allarme sociale e tensione. I colleghi che hanno svelato la verità sono stati vittime di vili e pesantissimi attacchi, Giulietti ha fatto il Presidente della Fnsi e con la sua sensibilità li ha difesi. Questa è la storia. Poi c’è altro».
Ancora altro?
«Sì. Qui ci sono account e persone fisiche che non riconoscono l’Articolo 3 della Costituzione, che fanno delle discriminazioni razziali, ideologiche, politiche una loro idea precisa da promuovere e chiunque non la pensi o non sostenga ciò che dicono e pensano finisce nel mirino. Questo è squadrismo. Che, peraltro, non si consuma solo con insulti in rete. Ci sono colleghi sotto scorta perché dagli insulti in rete si è passati al pericolo concreto per la loro incolumità fisica. Paolo Berizzi è sotto tutela perché ha scritto di gruppi neonazisti e dei loro affari, altri colleghi sono stati minacciati per lo stesso tipo di racconto. Tutto questo è impensabile, inaccettabile».
Da giornalista, come giudica il paradosso per cui chi smaschera le bufale viene preso di mira? Siamo vicini al nobilitare il falso di cronaca, l’opposto di ciò che si chiede ad un giornalista?
«C’è di più: non si tratta solo e sempre di pubblicare e veicolare sui social notizie false, il che è gravissimo. Qui siamo di fronte alla costruzione di bufale, una costruzione finalizzata ad avallare una certa idea politica. Mi spiego meglio: vogliamo dire che i migranti sono tutti violenti e sono un pericolo e non sono tutti in fuga dalle guerre? Bene, allora pubblichiamo il falso, come la storia dei cani»
E adesso: come si va avanti? Come si supera tutto questo?
«Intanto usiamo gli strumenti che ci sono. Denunce, richieste di accertamento delle responsabilità individuali sulle minacce, analisi dei profili fino ad arrivare a chi c’è dietro. Come giornalisti smascheriamo anche i mandanti, i finanziatori di questa macchina o bestia che crea bufale e muove centinaia di profili che insultano e minacciano. La Fnsi su questo sarà inflessibile. Inoltre va detto che la rete non è una zona franca, non può considerarsi tale e quindi le regole che valgono nel mondo reale debbono valere anche lì. Non si può pensare che sui social o nel web in generale siano sospesi i diritti né i doveri. Deve essere garantito il rispetto delle norme esistenti nel nostro ordinamento. Dire che la rete non è un porto franco per gli odiatori e per chi minaccia e insulta non c’entra nulla con la libertà di espressione».
Nelle ultime ore in questo circuito dell’odio e delle bufale sui migranti si è inserito dell’altro e di molto velenoso che riguarda proprio la nostra categoria, si parla di Inpgi, di conflitto di interessi, di soldi alla FNSI. Forse è un indizio per comprendere meglio i recentissimi attacchi al sindacato dei giornalisti. Non è che è proprio la FNSI ad essere sgradita?
«È chiaro che questo schema basato sull’odio e sull’aggressione sistematica di qualsiasi diversità va contrastato. Fuori, ma anche dentro la categoria dei giornalisti. È evidente da tempo come una parte minoritaria della categoria abbia solidi collegamenti con la centrale dell’odio e della falsità, forte anche del fatto che chi nella categoria è tenuto ad intervenire ha sempre la testa girata dall’altra parte. Sono quelli che facevano sponda con chi, nel precedente Governo, ha provato ad assestare un colpo mortale al pluralismo dell’informazione, cancellando i contributi proprio alle testate espressione delle differenze, di specifiche realtà territoriali, di comunità religiose e a Radio Radicale. Sono gli stessi che continuano a cercare sponde nel parlamento affinché venga commissariato l’Inpgi. Del resto, è un dato di fatto che, proprio nel corso dell’ultima campagna per il rinnovo dei vertici dell’Inpgi, c’è chi non ha esitato a recarsi dal presidente dell’Inps per cercare sponde sul fronte del commissariamento. Non c’è da stupirsi se chi non riesce ad assumere il controllo degli enti della categoria con il metodo democratico per eccellenza, ossia le elezioni, cerchi di provare a distruggere o a indebolire quegli stessi enti alleandosi con i propalatori di odio seriale. È la strategia del polo del rancore, radicato in una parte dell’attuale minoranza sindacale, che dopo aver straperso il Congresso della FNSI e le elezioni dell’Inpgi, adesso vorrebbe impedire il voto all’Ordine, accampando il pretesto del Covid-19. Una tesi molto singolare, se non proprio ridicola, considerato che le elezioni dell’Ordine cadono nello stesso periodo in cui si voterà per il referendum, per le regionali e per le comunali. Forse, non essendo in grado di elaborare una linea politica e una visione della professione, pensano che la soluzione sia quella di sospendere i processi democratici. Non hanno capito che sarebbe la fine dell’Ordine dei giornalisti. Ma forse è proprio questo che vogliono».
(Pubblicato su Articolo21, il 23/08/2020)