Il dottor Marco Ioppi è il presidente dell’Ordine dei Medici di Trento e ha svolto la sua carriera, prima di andare in pensione, come medico ospedaliero specializzato in ostetricia e ginecologia e endocrinologia all’Ospedale Santa Chiara di Trento e all’Ospedale S. Maria del Carmine di Rovereto con le funzioni di direttore dell’Unità Operativa. La gestione dell’emergenza sanitaria, causata dall’infezione da Covid-19 in Trentino, lo ha profondamente amareggiato. Gli appelli rivolti dal suo Ordine alla Giunta provinciale sono rimasti tutti inascoltati. In Trentino si sono registrati 467 decessi a fronte dei 292 della Provincia di Bolzano ma il dato complessivo dei positivi (per la provincia di Trento) è stato ricalcolato quando ci si è accorti che ne mancavano quasi 400 ( l’errore sta nella comunicazione da parte della Provincia di Trento alla Protezione Civile di Roma) e questo ha inciso negativamente sull’indice di trasmissibilità Rt (la misura della potenziale trasmissibilità della malattia legata alla situazione contingente che sta a significare la misura di quanto accade nel contesto. Il contenimento per ridurre il numero dei contagi. analisi dei dati sulla diffusione del virus sars cov-2 FBK
Nella classifica dell’indice Rt stimato il Trentino si poneva al terzo posto fra le regioni italiane con un valore di 0,77: un dato che era stato presentato il 23 maggio scorso a Roma durante il Report redatto dall’Istituto superiore di sanità in collaborazione con la Fondazione Bruno Kessler di Trento a cui era presente Stefano Merler epidemiologo che lavora presso la FBK, il quale aveva dichiarato che «il corona virus circolava in Lombardia e in altre regioni come il Trentino ben prima del 20 febbraio e non escluderei anche che fosse presente ancor prima del 2020 per trasmissione asintomatica»
Il coronavirus è comparso in Italia già negli ultimi mesi del 2019?
Uno studio dell’Istituto superiore di sanità ha scoperto la presenza del Sars-Cov-2 nelle acque di scarico di Milano e Torino, analizzate su campioni prelevati in precedenza alla scoperta dell’infezione a fine febbraio 2020. Un’analisi retrospettiva simile è stata fatta anche in Spagna nelle acque reflue di Barcellona a metà gennaio dove sono state riscontrate tracce di rna di Sars-Cov2 e in Francia dove era stato diagnosticato il Covid-19 in un paziente a dicembre 2019. L’inquietante interrogativo si fa avanti dopo la denuncia di 110 polmoniti atipiche classificate con «agente non specificato» riscontrate all’Ospedale di Alzano Lombardo Pesenti – Fenaroli tra il mese di novembre dell’anno scorso e febbraio 2020.
Anche all’Ospedale di Piacenza era stato segnalato un aumento anomalo di polmoniti (vicino c’è Codogno dove era stato rilevato il primo caso ufficiale conclamato: il paziente 1, Mattia Maestri, ricoverato all’Ospedale di Codogno e diagnosticato da Annamaria Malara, anestesista che è stata insignita dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella del titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica). Esiste anche uno studio condotto dall’Università di Milano che verrà pubblicato sul “Journal of Medical Virology” e inviato anche all’OMS, in cui verrebbe confermata la presenza dell’epidemia in Italia tra ottobre e novembre del 2019. diffusione del covid-19 in Lombardia
«Dall’inizio della comparsa del Sars Cov 2 nella nostra Provincia, come Ordine dei medici – ci spiega il dottor Ioppi – abbiamo inviato otto lettere protocollate al presidente della Giunta Maurizio Fugatti e all’assessore alla salute Stefania Segnana, con l’intento di segnalare situazioni da correggere, da migliorare, cosciente del dovere di essere il più oggettivi possibile e offrendo contributi che ci vengono dall’esperienza e dalla competenza. Quello che abbiamo visto è la superficialità delle scelte compiute per decisione da parte della Giunta provinciale nell’ affidarsi a persone fedeli allineate e non ad esperti competenti, le quali potevano mettere in evidenza delle situazioni scelte non funzionali e non idonee al benessere e alla salute della popolazione. La nostra Provincia è piccola e non è sottoposta ai flussi elevati come in Lombardia dove l’inquinamento è stato chiamato in causa per aver aggravato la diffusione del Covid-19 e la densità di popolazione così alta ha permesso al virus di circolare velocemente. Il Trentino è risultato terzo per mortalità dopo la Lombardia e il Piemonte. covid19 Trentino
Ci dobbiamo chiedere allora dove abbiamo sbagliato e sarebbe grave la decisione di archiviare quanto è accaduto dimenticando gli errori commessi. I decessi che abbiamo registrato nelle residenze socio assistenziali è un dato che pesa. Questo ci deve indurre a farci riflettere per creare una mentalità in grado di insegnare per il futuro a gestire diversamente. L’aver trattenuto gli ospiti affetti dal Covid-19 nelle strutture residenziali ha determinato molti decessi. I dati della diffusione del contagio sono stati analizzati insufficientemente e l’Ordine dei medici ha cercato di stimolare una massa critica utile a favorire una maggiore difesa e prevenzione anche per il domani nel caso dovessimo gestire una nuova emergenza.
Ad inizio del mese di marzo – prosegue Marco Ioppi – abbiamo segnalato la gravità di quanto accadeva nelle regioni limitrofe (Veneto e Lombardia dove erano state istituite già delle “zone rosse”) in considerazione del fatto che in Trentino si stava sottovalutando come se nulla potesse accadere e il Covid-19 non ci fosse. Chiedevamo altre misure restringenti avendo 15 giorni di vantaggio rispetto ad altre regioni».
Misure che all’inizio non sono state ritenute necessarie. Anche l’ex direttore generale dell’Azienda provinciale servizi sanitari, il dottor Paolo Bordon (dopo le sue dimissioni è stato nominato direttore dell’Azienda sanitaria di Bologna) aveva segnalato (in riferimento alla mancata chiusura degli impianti sciistici avvenuta solo dopo il 9 marzo per decisione del governo) che «i turisti e sciatori provenienti dalle regioni limitrofe come quella della Lombardia hanno contribuito a diffondere il contagio tra i residenti che lavoravano sulle piste da sci».
Nelle cinque zone sciistiche del Trentino in cui sono stati riscontrati maggiori contagi da Covid-19, l’infezione ha colpito una persona su quattro corrispondente al 23 per cento della popolazione (studio pubblicato dall’Istituto superiore di sanità in cui si evidenziano le percentuali di positività: “27,73 per cento a Canazei; 24,7 per cento a Campitello di Fassa; 23,61 per cento a Vermiglio; 20,97 per cento a Borgo Chiese, 17,81 per cento Pieve di Bono-Prezzo”
Intanto dalla vicina Austria arriva la notizia di un nuovo focolaio che si è diffuso a Lienz dove sono stati riscontrati 175 contagi tra la popolazione e 1400 sono le persone sottoposte alla quarantena. In Italia ad oggi si registrano dieci focolai anche se la situazione è contenuta per via che l’indice di contagio è sotto lo zero, eccetto per il Lazio salito a 1. I contagi sono avvenuti a Mondragone in Campania; a Palmi e Porto Empedocle in Sicilia; a Roma (Ospedale San Raffaele, Garbatella e in un istituto religioso); in provincia di Prato e Pistoia; a Bologna sono risultate 64 i casi positivi avvenuti nell’azienda Bartolini, di cui 47 sono dipendenti interni. A Bolzano è sotto osservazione in quarantena una famiglia di 11 persone; altri contagi si registrano nelle città di Como e Alessandria. Vicenza dove un nuovo cluster (focolaio) ha riportato il Veneto al rischio elevato di 1,63 con 5 nuovi positivi e 89 persone in isolamento, questo perché un uomo tornato dalla Bosnia ha rifiutato il ricovero in ospedale dopo essere stato visitato e risultato positivo al tampone. Le successive frequentazioni sociali hanno determinato un espandersi del contagio. «Una situazione preoccupante che se peggiorasse ulteriormente dovrà essere gestita con una nuova fase di chiusura – ha spiegato il virologo Andrea Crisanti – perché i contagi attuali non vanno sottovalutati».
«La pandemia ha messo in evidenza un sistema sanitario nazionale con delle fragilità evidenti! – aggiunge il presidente Ioppi – causa il risultato dei tagli sulle risorse destinate alla sanità, basti vedere come hanno fatto in Lombardia destinando i finanziamenti alla medicina privata, a differenza del Veneto che ha mantenuto maggiori investimenti su quella pubblica. L’organizzazione in questa regione, eccetto il policlinico universitario di Padova e Borgo Roma a Verona che sono amministrazioni a sé stanti, tutte le altre direzioni sanitarie sono unite: sia quelle ospedaliere che territoriali. Anche Trento un tempo aveva un solo direttore sanitario responsabile ospedaliero e per il territorio, scelta poi modificata per nominarne due. Il budget sulla sanità trentina considerato come una legge di spesa ha pesato sulla decisione di tagliare 300 posti tra i sanitari, riducendo il numero di medici e infermieri, oltre ad aver smantellato il laboratorio di virologia.
La medicina viene considerata una risposta ai bisogni individuali della persona e di fatto trascura temi come l’igiene pubblica, le infezioni. I laboratori erano sguarniti di materiali diagnostici come i tamponi, i magazzini vuoti senza le scorte di reagenti e il poco personale a disposizione per effettuare i test. Eppure esiste un piano nazionale per contrastare le pandemie del 2016 che non è stato applicato. L’Italia è al cinquantunesimo posto per la capacità di risposta alle pandemie e la sanità pubblica si occupa solo delle vaccinazioni anti influenzali. Qui chiamo in causa anche la componente medica che dovrebbe essere più presente e partecipe nei confronti della politica sanitaria, dimostrando la volontà di ribellarsi e di protestare per far capire al decisore politico quando prende dei provvedimenti in materia di salute, se li ritiene inadeguati».
In Lombardia la protesta dei medici si è fatta sentire con l’accusa rivolta alla gestione sanitaria del presidente Attilio Fontana e dell’assessore al welfare Giulio Gallera. I dirigenti medici delle 8 “Agenzie di tutela della salute” lombarde hanno criticato la mancata comunicazione all’inizio per effettuare i tamponi, il tracciamento, l’isolamento dei positivi e sulla quarantena. La mancata creazione delle zone rosse in provincia di Bergamo. Sono 171 i medici di base che hanno pagato con la loro vita a causa del coronavirus e il loro sacrificio non sarà riconosciuto: le assicurazioni private non verseranno nessun risarcimento non riconoscendo il contagio come infortunio sul lavoro. Luca Fusco presidente del Comitato “Noi denunceremo verità e giustizia per le vittime Covid-19” ha inviato una lettera al Fatto Quotidiano in cui scrive: «Non posso non sottolineare la profonda tristezza e amarezza provate: tristezza per il ricordo di mio padre e di tutti i defunti; amarezza per aver avvertito, ancora una volta, la lontananza e la sordità delle istituzioni, le uniche a cui è stato consentito di partecipare. Il protocollo non ha permesso che presenziassero alla cerimonia i parenti delle vittime; è stato demandato a me in veste di presidente del Comitato il compito di rappresentarli. Avevamo chiesto la presenza di un numero superiore in rappresentanza di 60mila iscritti al gruppo Facebook». Luca Fusco spiega nella sua accorata lettera densa di dolore che «ho chiarito agli organizzatori che non avrei in nessun modo condiviso alcuno spazio fisico con il presidente della Regione. Mi auguravo che il presidente (Fontana, ndr) potesse cogliere l’occasione per sentire il dolore di Bergamo, e speravo che, davanti al cimitero divenuto il simbolo di un’ecatombe, prendesse coscienza del nostro dolore chiedendo pubblicamente scusa a noi cittadini». Sulla pagina Facebook del presidente Fontana è leggibile un lungo post in cui si autoassolve completamente da tutte le accuse a lui rivolte e si dichiara sereno per come ha gestito l’emergenza sanitaria.
«La provincia di Trento nel 2019 ha previsto un piano di efficientamento che prevedeva 120 milioni di taglia sulla sanità e gli ospedali disponevano di pochi posti in terapia intensiva. Si prevedono 78 posti per non trovarsi più impreparati ma non si capisce come farli funzionare se manca il personale. L’emergenza sanitaria ha dimostrato quanto gli operatori sanitari si siano fatti in quattro per sopperire alle carenze – spiega ancora Marco Ioppi – e il piano di riorganizzazione con la promessa di ricevere i finanziamenti da parte del governo e con gli stanziamenti decisi dalla Comunità europea verrà attuato chissà quando. Oltre ad una scelta straordinaria è venuta a mancare anche una visione strategica. È stata depotenziata la medicina del territorio a causa di una concezione frutto di una pochezza da parte della politica sanitaria suddivisa in tante piccole realtà. Nelle lettere inviate alla Giunta provinciale si chiedeva un maggiore utilizzo di tamponi da effettuare al personale sanitario che poteva contagiarsi e diffondere il virus. Queste lettere sono state firmate anche dai presidenti di tutti gli ordini professionali sanitari come gli infermieri, i tecnici di laboratorio, gli psicologi, i farmacisti, i biologi.
Anche le associazioni dei malati hanno inviato un documento alla Consulta provinciale della salute, dove si chiede il tracciamento del virus e di farsi trovare pronti in autunno con la vaccinazione antinfluenzale. La componente sanitaria si rivela in sofferenza per una tragedia umana sul piano solidaristico etico comportamentale. Tutti gli operatori sanitari hanno cercato di dare sollievo ai malati che erano privati dei loro cari e non hanno potuto avere il loro conforto e concordare le cure con i loro famigliari. Si è persa l’occasione di fidelizzare gli operatori sanitari». L’articolo 32 della Costituzione recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Nel frattempo l’OMS lancia l’allarme di una prossima pandemia che dovrebbe colpire in autunno: Ranieri Guerra (il rappresentante italiano nell’Organizzazione mondiale della sanità e membro del comitato tecnico scientifica del governo) ha dichiarato che «la seconda ondata di Covid-19 potrebbe essere peggiore di quella della febbre spagnola del 1919», insultando pesantemente il collega virologo Massimo Clementi dopo che quest’ultimo aveva criticato tale affermazione. Il consiglio di non creare falsi allarmismi arriva da un’autorevole esperto: Carlo Federico Perno professore ordinario di Microbiologia e virologia dell’Università di Milano e dirigente del Dipartimento di medicina di laboratorio dell‘Ospedale Niguarda: «Sul Covid-19 sento affermare dei pareri inesatti anche da parte degli esperti scientifici quando qualcuno lo paragona ad una semplice influenza e altri lo paragonano alla febbre spagnola. Non siamo ancora in grado di capire l’evoluzione del coronavirus e dobbiamo andare cauti con le previsioni».
RADIO3-SCIENZA-Carlo Federico Perno
fonte. www.articolo21.org
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